Startup Stories #29
Facebook è Meta (ma è anche quello che dice Frances Haugen), brand marketing vs prodotto, Amazon vs Smeg e 3 campagne di marketing a base di NFT.
Felice di rivedervi amiche e amici.
Una giornata uggiosa anche la vostra?
Ecco l’ultima mia newsletter, dove ogni mese vi racconto quali secondo me sono le riflessioni, gli esempi e le best pratices internazionali sui temi che più ci interessano: startup, tecnologia, digital marketing e growth hacking.
Ci sono un bel po’ di nuovi iscritti questo mese allora ne approfitto per dire che: non mi piacciono le definizioni e gli approcci accademici, per cui non li troverete qui.
Non racconterò qual è l’ennesima definizione di Open Innovation, Growth hacking o cosa significa greenwashing. Non racconterò inoltre come si fa a fare marketing facile, l’hack del momento o il tool che dovreste provare. Ci sono persone molto più brave di me là fuori ad aspettare le novità per raccontarle. Troverete invece quali sono gli esempi più eclatanti e quali sono i ragionamenti che noi, professionisti del settore dovremmo fare su questi temi prima di definire budget e strategie, per rimanere aggiornati e continuare a evolverci in un mondo che cambia alla velocità della luce.
Questo mese troverete un po’ di ragionamenti strategici: parleremo di Meta e Facebook, di bias e inclusione, del brand marketing di Tavernello e di campagne di marketing con NFT.
In Taxfix siamo in fase di planning 2022, un momento in cui finalmente ho il tempo di pensare, analizzare e cercare di prevedere cosa possiamo aspettarci nei prossimi mesi e come il prodotto dovrà cambiare per migliorare ancora di più l’esperienza degli italiani con le tasse. Per cercare di anticipare i cambiamenti, piuttosto che subirli.
Aspetto le vostre riflessioni: i vostri punti di vista mi fanno sempre super piacere.
Buona lettura!
Cos’è successo nel mondo digital marketing, tech e startup in questo mese?
1) Tutti i media italiani parlano di Meta, nessuno del ruolo di Frances Haugen.
Meta è il nuovo nome del gruppo che comprende Facebook, Instagram, Whatsapp.
Il mio feed su LinkedIn è tutto un pullulare di spiegoni, sondaggi, opinioni. Io, per la prima volta, non sono entusiasta di un’innovazione tecnologica di questa portata. Perché questo rebranding arriva dopo che Frances Haugen, product manager di Facebook fino a maggio, ha pubblicamente condiviso prima con il Wall Street Journal, poi davanti al Senato americano, ora a Londra e poi in EU come la strategia di Facebook non abbia al centro le persone ma il profitto.
Beh, è un’azienda: non serve di certo aver lavorato da Facebook per capirlo, direte.
Certo, ma il problema è che ci sono decisioni che si potrebbero prendere e funzionalità che si potrebbero sviluppare per migliorare problemi enormi, che impattano sulla sicurezza e sulla salute mentale degli utenti, in tutto il mondo.
Ma se i contenuti più violenti e arrabbiati sono quelli che ottengono più engagement e quindi spingono le metriche interne del social, perché moderarli? Perché evitare che contenuti che si basano sull’odio e sulla rabbia vengano creati se poi è grazie a questi contenuti che le persone passano più tempo sulla piattaforma e sono invitate a cliccare sulla pubblicità che permette i profitti al gruppo? Perché fermare o penalizzare la misinformazione su vaccini in post e commenti?
Qui un parziale riepilogo dei temi.
Frances Haugen ha raccontato che Facebook non investe abbastanza in team che si occupano della sicurezza degli utenti e che Instagram è il social più pericoloso tra tutti gli altri perché focalizza sui corpi e sulla vita che si vuol dimostrare di avere, con effetti devastanti sui bambini e ragazzi. Critiche supportate da un’enorme documentazione interna. Non è una novità perché era già nell’aria. Altri dipendenti si erano lasciati sfuggire qualcosa di simile, l’avevamo visto al momento del lancio di Aria qualche newsletter fa (l’MVP del metaverso direi) e un report del MIT Technology Review che qualche mese fa analizzava la situazione poi confermata dalla ex product manager.
Sono temi pazzeschi su cui la politica, che all’inizio voleva starne fuori, sarà costretta ad agire, con non poche sfide. Se regola troppo verrà giudicata di non supportare la concorrenza e lo sviluppo tecnologico. Se non regola, questi problemi diventeranno ancora più importanti, soprattutto in democrazie poco forti e in Paesi in cui i diritti delle persone non contano poi così tanto.
Quello che come al solito mi lascia basita della stampa italiana è la mancanza di analisi critiche sul tema e il focus su notizie che semplicemente annunciano Meta. Meta è la vera notizia per chi guarda la realtà da un punto di vista prettamente superficiale. O meramente tecnologico. La vera analisi da fare è quella che prova a trovare le motivazioni di questo lancio in questo momento.
Siamo appena usciti dalla pandemia e negli ultimi 18 mesi sono stati decine gli annunci di startup che miravano a sviluppare mondi virtuali creati in VR e raggiungibili dagli headset, forse la necessità è quella di ribadire la competizione tecnologica?
Un altro angolo interessante è quello della motivazione che invece considera il mero rebranding: nasce forse da una volontà di muoversi con più libertà in un ambito che va fuori dai social network e quindi un tentativo di mediare il rischio percepito dagli investitori, dato che saranno sempre più le aziende che seguiranno l’esempio di Patagonia o che vedranno diminuire drasticamente le performance dagli investimenti in paid social?
Infine un punto di vista puramente filosofico è quello che analizza questa situazione considerando l’etica vs il profitto, alimentando una discussione che mette agli antipodi i due approcci. Pensiero personale: con tutta la tecnologia e le menti che FB ha a disposizione, nel 2021 non potremmo sperare di accorciare questo divario invece che alimentarlo? Perché non usare la tecnologia per perseguire etica e profitto? E soprattutto: è possibile?
«Patagonia ha interrotto tutte le pubblicità a pagamento sulle piattaforme di Facebook nel giugno 2020 perché diffondono odio e disinformazione sul cambiamento climatico e sulla nostra democrazia. Continuiamo a sostenere quel boicottaggio 16 mesi dopo. Questa decisione ha colpito il nostro business e le organizzazioni non profit ambientali che sosteniamo, le cui campagne beneficiano dell'amplificazione dei social media che noi finanziamo ed eseguiamo. Ma abbiamo imparato ad adattarci. Siamo più intelligenti e più accorti nel modo in cui facciamo crescere la nostra comunità come risultato di questo divieto di pubblicità. I documenti interni di Facebook rilasciati nelle ultime settimane hanno reso incredibilmente chiaro che sanno il danno irreparabile che la loro mancanza di responsabilità causa ai loro tre miliardi di utenti e gli effetti corrosivi che ha sulla società stessa. La leadership di Facebook sa quali passi può prendere per mitigare tali danni, eppure ha ripetutamente fallito nell’agire. Crediamo che Facebook abbia la responsabilità di assicurarsi che i suoi prodotti non facciano danni, e finché non lo faranno, Patagonia continuerà a evitare di fare pubblicità. Incoraggiamo altre aziende ad unirsi a noi per spingere Facebook a dare priorità alle persone e al pianeta rispetto al profitto».
2) Lo smart fridge di Amazon farà fuori i produttori di elettrodomestici, dopo aver fatto (quasi) fuori le librerie?
Mi ha molto colpito il fatto che Amazon stia sviluppando lo “smart fridge”.
Sarà che ho aspettato 9 mesi per la consegna di un basico frigo SMEG o perché sto arredando casa ma credo che quella di Amazon sarà la svolta del mercato: per il consumatore che magari già fa la spesa con Amazon Fresh cambierà poco rispetto al potenziale smart fridge di altri come Samsung o SMEG che ovviamente non avranno la stessa supply chain. Bello il design di SMEG ma non è più l’unico iconico brand che punta al vintage. Ce ne sono altri. E niente impedisce ad Amazon di diventare partner con queste aziende per renderlo smart oltre che vintage, il frigo.
Funzionerà proprio come me lo immaginavo: analizzerà che cosa sta mancando e procederà con l’ordine per evitare di rimanere senza quei prodotti sempre presenti, attraverso una tecnologia molto simile a quella di Amazon Go. Molto probabilmente verrà inclusa Alexa e non si occuperà direttamente della produzione ma solo della parte tecnologica, dice Techcrunch.
Produttori di elettrodomestici preparatevi alla prossima disruption che finalmente conquista il prodotto e non solo il design. E che potenzialmente butterà fuori dal mercato chi non si adatta in fretta a quello che diventerà basic per i consumatori.
Walmart prende invece provvedimenti posizionandosi su un diverso livello tecnologico ma di simile importanza per il consumatore: con un’interfaccia simile a quella di Pinterest metterà a disposizione dell’utente una serie di ricette grazie a partnership con brand FMCG come General Mills, Kraft e PepsiCo. I consumatori potranno aggiungere al carrello di Walmart direttamente la ricetta rendendo più semplice e immediato il processo di acquisto degli ingredienti e quindi la preparazione delle ricette. Smart, no?
3) La chat di slack e il nuovo libro di Kim Scott che spiega i bias
Come saprete, il mio team di Taxfix si allargherà e per me è molto importante assumere persone che non solo siano skillate ma che abbiano la giusta attitudine per tutto il team internazionale e in linea con i valori dell’azienda. Non è uno screening facile ma per me (e per noi) è essenziale: non vogliamo assolutamente assumere qualcuno che poi potrebbe ricevere feedback negativo perché alcuni dei suoi atteggiamenti che a prima vista sembrano “normali” possano rischiare le performance lavorative e la salute mentale del team.
La cosa più difficile che ho imparato negli anni è proprio questa: combattere i bias, ossia quei comportamenti o pensieri intrinseci e spesso spontanei per cui, per esempio, si pensa che una donna con i tacchi sia più femminile rispetto a una donna con le francesine. Oppure che un team creativo composto da due donne sia meno professionale rispetto a un team misto, perché sono donne o hanno un atteggiamento meno formale.
I bias in realtà sono la cosa più semplice da combattere: basta dirlo. Quando succede, perché è inevitabile che in un’azienda di 400 persone possa succedere, la nostra cultura aziendale ci permette di farlo notare, senza che si creino malintesi o difensive. Anzi, apprezziamo il feedback e ringraziamo.
Il problema diventa più grande quando inizia a esserci un comportamento da bulli e una situazione tossica che porta persino a molestie, psicologiche o fisiche. E non è semplice da risolvere, sia per chi lo subisce, sia per chi lo vede. Come fare a rendersene conto? L’ultimo libro di Kim Scott “Just Work” aiuta a capire queste situazioni. Sono a pagina 41 ma già mi piace, ricco di esempi e di framework. Se non avete letto il suo precedente “Radical Candor” è assolutamente da mettere in lista.
Per capire cosa sono i bias segnalo anche un bell’articolo che spiega come Slack aiuta a superarli.
4) Il brand marketing può ancora cambiare la percezione del prodotto? Il caso Tavernello.
Non conoscevo Valerio Bassan finché non mi hanno girato la sua ultima newsletter, in cui parlava di debranding. Un processo che vede dal punto di vista grafico, l’adozione di principi più minimali, e che a livello strategico mette il prodotto davanti al brand. Non è una novità se avete letto Startup Marketing e Viral Marketing, perché l’ho scritto e detto anche io più volte. Il brand è sicuramente importante, può rafforzare la fiducia e l’affidabilità di un prodotto (vi ho raccontato perché abbiamo lanciato la campagna brand con Taxfix).
Ma basterà il brand, raccontandoci che “Barilla è casa” a convincerci ad acquistare un pacco di pasta se poi la provenienza del grano è extra UE? Basterà Luca Argentero che diventa “il nipote della porta accanto” per convincerci che il caffé Bialetti sia il migliore senza che ci sia una vera differenziazione di prodotto con gli altri? Basterà che uno spot ci dica che il Brodo Star è naturale come quello fatto in casa per rimediare a decenni di glutammato tra gli ingredienti del dado dello stesso brand?
Io credo di no.
E Valerio lo dice in modo ancora più esplicito: “la forza del marchio non basta per tappare i buchi. I brand non sono più i protagonisti della propria storia. L’attenzione (sempre più scarsa) degli utenti ci dovrebbe far riflettere su cosa vogliamo comunicare davvero: l’origine delle nostre ‘materie prime’, per esempio, la trasparenza dei nostri processi, o l’impatto positivo che i nostri prodotti possono portare nella vita delle persone.”
Ecco perché quando ho visto la nuova campagna di brand di Tavernello prodotta da Fanpage con un bel contenuto che vede protagonista Maccio Capatonda (530k followers su Instagram, 400k su Youtube, con il “tg casa 40ena” da 1M di views) ho pensato fosse un bel tentativo di rebranding ma che rimane zoppo.
Abbiamo davvero bisogno di vedere un video dove cercano di convincerci che Tavernello è buono per fidarci del brand oppure non sarebbe stato più utile una stategia di prodotto che dimostrasse una diversa traiettoria del prodotto?
Il marketing è sempre più prodotto e non solo brand.
Prima le aziende se ne renderanno conto, prima eviteranno di fallire.
Pollice alto per quello che invece ha fatto Carioca.
5) In Italia rimaniamo fermi alle definizioni e alle opionioni. In USA gli NFT sono già entrati nelle strategie di marketing
Vi ricordate quando abbiamo parlato di creator economy? Il metaverso permetterà una sempre maggiore creatività e libertà ai creator che potranno lavorare con un numero in crescita di piattaforme nella distribution delle loro opere digitali.
Opere digitali create da artisti e creator da tutto il mondo che alimenteranno una nuova economia fatta di NFT, Non Fungible Token che potranno essere scambiati e acquistati nella blockchain. Anche se tutto ciò in Italia ci sembra al limite della fantascienza, ci sono alcuni brand che hanno già incluso gli NFT nelle loro campagne di marketing.
Per esempio per l’annuale SXSW, è stata avviata una partnership con operatori di NFT e blockchain come Blockchain Creative Labs che forniranno la South By Southwest Conference di attivazioni virtuali, e i partecipanti potranno tokenizzare i loro lavori alla conferenza del 2022, vendibili nella blockchain di Eluvio, la piattaforma in cui sta investendo FOX.
Una partnership simile è stata avviata dalla World Wrestling Entertainment, per trasformare e distribuire tramite NFT i momenti più iconici del wrestling che potranno essere acquistati e venduti dagli utenti.
Rayban ha lanciato un’asta per la prima versione degli iconici aviators in NFT.
Mattel sta lavorando con gli NFT per il suo brand Hot Wheels: saranno già disponibili il 16 novembre 40 NFT Hot Wheels per fan e consumatori, in versione limitata.
E non pensiamo si tratti solo di entertainment: c’è anche il primo brand beauty che sta entrando nel mondo degli NFT. Per il momento non si possono comprare, solo vincere ma è un bel test per raccontare un brand, l’innovazione e spingere sulla fedeltà alla marca.
Dispiace non vedere nessuna italiana ma non mi stupisco.
Eppure per Panini sarebbe semplicissimo.
