Ciao amici e amiche di Startup Stories!
Questa settimana mi sono posta una domanda cruciale, una di quelle che ci si fa in un periodo di "great resignation" e "quiet quitting": come facciamo a capire quando è il momento di restare o lasciare un'azienda?
Non è la prima volta che mi interrogo su questo. In un contesto come Taxfix, che in soli 20 mesi ha attraversato cambiamenti rapidi e continui tipici delle startup in hypergrowth, rispondere a questa domanda non è semplice, soprattutto quando il futuro sembra incerto. Per affrontare questa situazione, ho deciso di applicare un framework che utilizzo spesso per gestire problemi complessi.
La strategia consiste nel scomporre la grande domanda in sotto-domande più gestibili, perché affrontare i problemi in segmenti più piccoli li rende più facili da analizzare.
Quindi, perché restare in azienda?
Ho iniziato con una riflessione che abbracciava vari temi e questioni, classificandoli in base alla loro importanza e alle mie priorità personali. Ecco i tre elementi fondamentali che ho identificato come cruciali per essere felice e soddisfatta nel mio lavoro:
Valori: La cultura aziendale rispecchia ancora i miei valori? Stiamo andando nella stessa direzione valoriale?
Fiducia e Collaborazione: Qual è il grado di fiducia che nutro nel mio team? Mi fido delle decisioni dei miei superiori?
Impatto e Apprendimento: Che tipo di impatto posso avere restando in azienda? Cosa posso imparare nei prossimi 6-12 mesi?
Non vi svelerò ancora le mie risposte, ma mi fermo qui per riflettere sulle domande stesse, perché credo che in questo framework siano spesso più importanti delle risposte.
Avete mai fatto queste riflessioni? Avete usato framework diversi? Sono curiosa di ascoltarvi!
C’è un modo efficace per gestire i licenziamenti?
Questa settimana ha portato con sé un'ondata di licenziamenti massicci nel settore delle big tech, con giganti come Twitter e Facebook che hanno tagliato migliaia di posti di lavoro. Facebook, in particolare, ha effettuato il licenziamento più significativo nella sua storia. Non è sola: Snapchat ha ridotto il personale del 20% ad agosto, mentre Stripe, Lyft, Coinbase, Shopify e Tesla hanno seguito la stessa strada, con Apple e Amazon che hanno annunciato un blocco delle assunzioni.
Meta, l'azienda madre di Facebook, è sotto i riflettori: dal 2019 ha quasi raddoppiato il personale, solo per licenziarne quasi la metà ora. Mark Zuckerberg si è scusato, ammettendo di aver sovrastimato il boom che la pandemia avrebbe dovuto portare. Anche il CEO di Shopify aveva espresso un'errata previsione simile. Gli analisti più scettici vedono questi licenziamenti come solo l'inizio di una tendenza più ampia. Come ha osservato Paul Graham ex Y Combinator, le aziende tendono a gonfiarsi amministrativamente quando si basano su previsioni troppo ottimistiche o su ricavi protetti dal mercato. Senza misure correttive, l'assunzione eccessiva diventa un fardello, rallentando l'efficienza operativa.
La domanda, quindi, è perché continuare a espandersi con assunzioni eccessive solo per poi affrontare licenziamenti dolorosi?
Una risposta potrebbe essere legata alla necessità di dimostrare agli investitori un uso dinamico e in crescita dei fondi.
Mi domando se questa prassi non ci sia un po’ scappata di mano, me lo chiedevo anche quando ragionavamo sugli unicorni, qualche numero fa qui.
In Europa, le normative rendono i licenziamenti più complessi, con sindacati e procedure che rallentano il processo rispetto ai colleghi americani.
Tuttavia, anche qui si registrano tagli: l’ultima della lista è la fintech Pleo che ha licenziato il 15% dei propri dipendenti.
Una questione che mi interroga è il modo in cui questi licenziamenti vengono comunicati. È davvero efficace notificare tramite email di massa chi è fuori e chi no? Quando mi sono trovato in situazioni simili, il dialogo individuale 1:1 era l'unica strada percorribile. Confronti diretti, supportati da dati qualitativi e quantitativi, aiutano a rendere più comprensibile una decisione difficile, mantenendo l'empatia e la compassione al centro.
Quando mi sono trovata, in passato, nella situazione di dover licenziare una persona del mio team c’era solo una modalità che nella mia testa era corretta: il meeting 1:1. Ne abbiamo fatti molti, abbiamo affrontato diverse discussioni, ho cercato di portare elementi qualitativi e quantitativi a dimostrazione della mia tesi, aiutando quella persona a capire quale fosse il suo obiettivo professionale. Non sono sicura sia servito ad attenuare la negatività della situazione anche se da parte mia c’era grande empatia e compassione verso una situazione che ormai non poteva avere una soluzione ahimè diversa.
Da quel momento ho sempre provato a chiedermi se ci fosse qualcosa che avrei potuto fare diversamente o se ci sono delle modalità meno negative o meno impattanti. Saper licenziare le persone purtroppo è una delle skills che noi leader dovremmo avere nel cassetto degli attrezzi ma NON è assolutamente banale averla. Questa situazione di layoff generalizzata mi ha permesso di ottenere qualche punto di vista aggiuntivo, per esempio quello di un coach con tantissima esperienza in aziende tech, e che lo è stato anche per grandi investitori e CEO in USA come Matt Mochary. Dal minuto 23’ in questa intervista con Lenny si parla proprio di come sviluppare questa skills e di come la “decisione” di licenziare qualcuno dovrebbe prevedere un momento successivo per permettere alle persone di condividere anche le proprie emozioni: l’implementazione deve arrivare dopo la comunicazione delle decisione perché la semplice comunicazione della decisione non sarebbe una mossa corretta perché non permette di affrontare la parte umana della situazione ossia la condivisione delle proprie emozioni. Spesso chi è manager o leader non possiede questa skill perché la si impara solo con l’esperienza: o non l’hai mai fatto o l’hai fatto male. La situazione è sempre drammatica per chi l’ha vissuta da entrambe le parti ma consente di imparare. Matt addirittura consiglia ai manager che licenziano di prevedere una terza fase, quella di assumere un ruolo attivo nell’aiutare quelle persone a trovare un altro lavoro, cercando di capire qual è la passione della persona che lascia: dando questo contributo non verremo odiati e ancora una volta la relazione avrebbe la meglio sulle emozioni negative. Una bellissima intervista.
Startup che lavorano per la food security
C’è un altro tema fondamentale quando parliamo di emergenza climatica: la food security che sta diventando uno dei problemi più importanti per l’umanità e il nostro futuro. L’aumento dei prezzi e la continua scarsità dell’acqua fanno diventare l’agricoltura sempre più costosa e in alcune aree persino poco profittebole. Inoltre il 60% dell’acqua usata in agricoltura viene sprecata, con un costo stimato in 2 trilioni di euro da qui al 2030.
C’è una startup tedesca che sta cercando di risolvere questo problema. Si chiama Constellr, ha raccolto un seed di $10M e attraverso un sistema di microsatelliti equipaggiati di fotocamere termiche riesce a monitorare le temperature della superficie dei terreni e quindi anche la composizione chimica del suolo. Con questi dati, Constellr riesce ad analizzare l’ammontare di acqua e di fertilizzante che serve e permette di ridurre l’ammontare di acqua sprecata anche del 40%. L’obiettivo è quello di risparmiare 180 gigatonnellate di acqua entro il 2026 che significa un risparmio di 94 megatonnellate di emissione, ossia circa un sesto delle emissioni annuali della Germania.
Se conoscete startup italiane che lavorano su questi temi mi mettete in contatto? Mi piacerebbe davvero scoprire come ci stiamo muovendo in Italia in queste aree.
Ruoli interessanti in startup interessanti
Unobravo, startup italiana che lavora nella psicologia italiana e che ha appena chiuso un Series A da $17M assume una figura di Head of Sales e una di Head of Technology
Volta Trucks startup svedese fondata nel 2019 per produrre veicoli elettrici a zero impatto e che ha raccolto finora un totale di $60M sta assumendo in Italia per una posizione di Area Sales Manager
Podcast e libri che vi consiglio
Continuo dalla settimana scorsa a consigliarvi il podcast di Rame con una bella intervista all’Estetista Cinica che racconta come spende i suoi soldi. Cristina, te lo dico anche qui: se dici ci facciamo una call perché sarebbe molto figo discutere su come fare la differenza in un mondo, quelle delle startup fondate da donne, che riceve solo l’1% dei fondi mondiali, nonostante siano quelle che si focalizzano e ottengono un ROI e un fatturato maggiore.
Altro podcast che vi suggerisco è quello di Women in Product Marketing: so che in Italia stiamo appena imparando a capire cosa fa una figura di product manager ma credo che per creare organizzazioni di valore non bisogna dimenticare la necessità di avere team cross-funzionali che discutono, si confrontano e sviluppano business e prodotti digitaili che coinvolgono molteplici voci ed esperienze. In quest’intervista Desiree Motamedi, la VP Global Head of Product Marketing di Shopify, lo spiega molto bene. Enjoy!
Per questa settimana è tutto amici! Se siete ad Amsterdam l’ultima settimana di novembre battete un colpo che vengo finalmente a fare un salto, a prestissimo.
Alessia