Cosa significa essere leader
Una parola spesso abusata ma densa di responsabilità, anche se fai startup.
Finalmente è finita questa settimana. Siete sopravvissuti e sopravvissute a questo evento storico, molto simile al funerale della Regina Elisabetta per potere mediatico?
Devo dirvi la verità, non ne potevo davvero più di leggere i tentativi di beatificazione di un imprenditore che ha creato diverse cose ma che ha anche distrutto il Paese, oltre alla nostra reputazione internazionale.
Peccato che le critiche, dai media italiani nazionali, non siano davvero uscite.
Un imprenditore che, come racconta Giulia Blasi in
e come scrive ValigiaBlu, “ha costruito un impero economico e mediatico con capitali di provenienza opaca, reati finanziari, frodi fiscali, pagamenti a Cosa Nostra, iscrizioni a logge massoniche eversive, corruzione di pubblici ufficiali e intrallazzi con la politica – su tutti Bettino Craxi. [..] Nonostante le promesse mirabolanti (tra cui quella di sconfiggere il cancro “entro tre anni”), i suoi governi sono sempre riusciti a realizzare ben poco. [..] Chiunque ha provato a insidiare il suo potere – o l’ha contrastato sul serio – è stato epurato, sommerso di querele e cause civili, censurato o randellato mediaticamente dai suoi dipendenti.”
Con una mia amica che vive in USA abbiamo cercato di trovare una similitudine con Trump, che fra l’altro anche lui questa settimana si è trovato perseguitato dalla giustizia. Almeno il Berlusca un po’ di fiuto per i settori in crescita in cui creare aziende e qualche idea creativa che oggi chiameremmo social proof l’ha avuta, Trump nemmeno quello, è stata la nostra conclusione. Che settimana!
Su LinkedIn, è stato un proliferare di foto e messaggi che ne lodavano capacità imprenditoriali e leadership.
Io, che da anni la studio, ho cominciato a domandarmi quali possono essere i valori e la leadership di un imprenditore che assume comportamenti poco corretti verso il fisco e la collettività, che prende di mira chiunque la veda in modo diverso e che se ne infischia del rispetto verso chi è donna.
Le grandi doti imprenditoriali e di comunicazione possono mettere tutto il resto in un livello secondario? E chi fa così, è davvero un leader?
Cosa significa essere leader: un esercizio di decomposizione
Il grande problema di definire Berlusconi (o qualsiasi altro) un leader è nella soggettività. Ognuno interpreta il significato di leadership a suo modo.
Quali sono le qualità di un leader
Iniziamo dall’etimologia dalle parole come mi insegnano Vera Gheno e
. In inglese to lead significa guidare, parola che definisce l’azione, esulando dalla modalità con cui si compie quest’azione. Come capire se una persona ha buone capacità di leadership se non vengono identificate modalità univoche per analizzarle? Quali sono le qualità di un leader? E quelle di un buon leader?Il tema è in continua evoluzione. Un’evoluzione iniziata almeno negli anni 2000 da una definizione che sembra considerasse leader chiunque fosse in una posizione di potere, con il compito quindi di guidare aziende e team.
Durante l’Università e l’MBA del 2011, dove facevamo laboratori di soft skills e leadership, mi ricordo esercizi per “far accettare le decisioni al team”.
Mi ci sono voluti varie esperienze in diversi Paesi, e diversi libri per capire che questo, quando parliamo di leadership, era parzialmente corretto.
Quali sono le caratteristiche di un buon leader? Ho fatto un po’ di ricerca perché la questione si è evoluta parecchio in 30 anni. Ho impostato Google agli anni ‘90-2000 e la prima pagina della SERP includeva queste, come caratteristiche di un buon leader:
la comunicazione, ossia la capacità di trasmettere la sua visione in modo coinvolgente e appassionato, ispirando gli altri
il saper coordinare, come skills che differenzia manager da leader (Quora)
l'autorevolezza necessaria per guidare un team, mentre il manager sfrutta l'autorità in suo possesso.
la capacità di ottenere risultati (e lo scrive HBR nel 2000)
carisma, creatività e flessibilità (Academy of Management, 1991).
Intelligenza Emotiva di Daniel Goleman, uno dei primi libri ad affrontare la questione, è uscito nel 1995 ma credo che siano serviti altri 10 anni per capirne il vero significato e l’impatto sulla definizione di leadership, almeno in Italia, poiché tarando la stessa ricerca al 2000-2010 ho trovato qualcosa che solo nel 2010 finalmente combina intelligenza emotiva e leadership. E leggendo quello che emerge si capisce che eravamo ancora distanti dal capire che per essere leader dobbiamo partire dalla comprensione dei nostri pregi e difetti ed essere empatici, ossia ascoltare e capire gli altri in modo rispettoso, come spiega Goleman.
Oggi per fortuna sappiamo che una buona leadership (riassumendo):
crea responsabilità e delega decisioni al team, incoraggiando a non mollare e ad affrontare le criticità, affinché ogni persona possa dare il meglio di sé;
comunica in modo rispettoso e trasparente,
ispira e guida piuttosto che dirigere,
mostra una buona intelligenza emotiva, tenendo in considerazione le proprie caratteristiche ed emozioni, le diversità dei membri del team, e analizza le conseguenze delle proprie azioni sugli altri prima di compierle;
rispetta e ascolta gli altri, creando un ambiente psychologically safe;
si prende le proprie responsabilità, ammettendo gli errori quando li fa.
Se sei il capo sei anche un leader?
Secondo Mary Parker Follett, universalmente considerata la madre del management moderno, «la leadership non è definita dall'esercizio del potere, ma dalla capacità di aumentare il senso di potere tra coloro che sono guidati. Il lavoro essenziale del leader è creare più leader». In pratica saper coltivare i punti di forza e i talenti dei collaboratori costruendo team che si impegnano per il raggiungimento di obiettivi comuni. E che quindi generino impatto, aggiungerei, se posso permettermi.
In Italia, anche grazie a Berlusconi siamo, invece, cresciuti pensando che chi fosse al potere, quindi a capo di aziende, più che creare leader potesse dire e fare di tutto, considerando le parole “leader” e “capo” in modo alternativo.
Anzi, forse è stato proprio grazie al Berlusconismo che siamo cresciuti con l’idea che non avesse senso considerare chi la pensava in modo diverso, soprattutto nel momento in cui diventavano ostacoli al raggiungimento dei propri obiettivi.
Con la convinzione, che un buon leader sia esclusivamente la persona che spinge il team al raggiungimento di quei risultati, a qualsiasi costo.
Silvio Berlusconi non era l’unico ad essere convinto fossero quelle le qualità da leader.
Era circondato da persone che collaborando con lui, supportandolo, vedendolo, senza mai mettersi contro o dandogli un feedback negativo, condividevano i suoi valori, incarnati nella sua leadership e in quelle qualità da leader considerate da tutti (loro) vincenti. Erano quelli che nel mondo internazionale si chiamano “Yes, Man”, in tutto il mondo considerati un pericolo. Ma in Italia ancora fondamentali per “entrare” nei favori di chi ha il potere.
Come identificarli?
Basta guardare a quelle situazioni i cui risultati sono opposti a quelli prodotti da una buona leadership. Per esempio la buona leadership è quella che forma aziende sane in culture sane, o ecosistemi che funzionano.
In Italia invece siamo ancora qui che ci domandiamo perché ci sono donne che finché svolgevano il loro lavoro in agenzie pubblicitarie a Milano dovevano difendersi da colleghi che le spiavano dal buco della serratura in bagno. O ancora, perché dovessero rispondere a domande insistenti sulla loro vita sessuale tra un brief o un altro, o come potessero declinare gli inviti dei loro capi alle cene con i clienti per strappare rinnovi o extra budget senza risultare maleducate. O ancora, perché i loro colleghi si divertissero così tanto a definirle scxxabili in un Excel condiviso da tutti i colleghi, ovviamente maschi.






Se te ne freghi del rispetto o speri che i problemi passino da soli sei un leader?
La questione, tuttavia non rimane ancorata al solo mondo pubblicitario milanese. Perché sempre
racconta nella sua ultima nsl che il 12% delle intervistate dall’“Osservatorio sugli ostacoli e le discriminazioni contro le donne nella ricerca del lavoro” ha dichiarato di aver ricevuto molestie durante il colloquio faccia a faccia, dai commenti a sfondo sessuale ai complimenti indesiderati.Per non parlare delle startup o dell’imprenditoria.
Dove il problema riguarda sia le women founders che le women in leadership. Partiamo dalle prime. E iniziamo dai numeri.
Secondo l’ultimo report del MISE aggiornato al 2022 le startup in cui le donne detengono la maggioranza delle quote societarie o delle cariche amministrative sono il 13%. Unico dato italiano che ho trovato, perché se ci domandiamo su €1,8 miliardi in 323 round di investimenti fatti nel 2022 quanti $$ sono andati a donne founders? Non lo sappiamo, sicuro pochi. Quindi le startup create da women founder non solo sono poche ma riguardano pochissimi fundraising. Chissà se e come vengono considerate dai VC italiani, dato che non vengono nemmeno mappate dall’Osservatorio sul Venture Capital a cura di Italian Tech Alliance.
La situazione quindi è ancora discriminatoria? Le testimonianze che raccolgo oggi non sono molto diverse da quelle che avevo raccontato su Wired sull’onda del #metoo nel lontano 2017. Le women founders di startup in Italia vengono ancora ignorate e per favore non ditemi che succede perché i business delle donne sono di minor qualità perché quello è un vostro bias che non trova riscontro nei numeri, lo dice BCG.
In Europa la situazione non è migliore, ma almeno sta migliorando. Se le startup women-led non arrivavano all’1% del totale capitale investito nel 2022, nel 2023 siamo all’1.6%, per un totale di deal che in percentuale arriva al 6%.

Analizziamo ora le donne manager.
Il 2% delle aziende quotate in Borsa in Italia ha una donna CEO vs il 7% in Europa.
L’Italia è al 29esimo posto in classifica per numero di donne presenti nei consigli di amministrazione di società quotate in borsa.
Secondo gli ultimi dati di Eurostat e il Women in Digital Scoreboard 2021, nei settori tecnologici l’Italia è agli ultimi posti in Europa per parità di genere. Sarà colpa nostra che non studiamo e non ci formiamo, vero? Ma guarda un po’, che anche quando il settore è più incline a una maggioranza femminile, come quello HR, non veniamo assunte, con startup formate da interi team maschili, senza che nessuno pensi sia un problema. Guarda un po’ tutte le donne italiane con esperienza che conosco io lavorano all’estero. Magari è il caso che ci pensi se voglio rimanere in questo Paese.
Infine, considerando la carriera lavorativa e i profili tecnici, solo 52 donne ogni 100 uomini sono promosse a manager, lo dice McKinsey. Saremmo meno brave?
No, come al solito ci sono una serie di bias che ci impediscono di muoversi oltre il glass ceiling, lo dicono HBR e Yale. Uno su tutti: i manager (maschi) fanno fatica a capire il potenziale della leadership delle donne perché la esprimiamo in modo diverso (ovviamente).
Se pensi che la leadership sia di un solo tipo sei un leader?
Torniamo a parlare di Berlusconi perché nelle maratone mediatiche di questa settimana, sentendo il jingle di Forza Italia del 1994 ho capito quanto fosse stato un grande uomo di marketing. Bravo a comunicare, a raccontare, a girare molte verità a suo piacimento come fanno i bravi pubblicitari. Sono in tanti a vederlo come un role model, un leader da cui farsi ispirare e da seguire per raggiungere lo stesso obiettivo.
Il problema è che le donne non sono mai state considerate, ascoltate o rispettate come parte di quel team che un buon leader dovrebbe guidare, soprattutto quando si permettevano di esprimere idee diverse.
Questa amplificazione ha portato a una sorta di omologazione dei maschi al potere, con la percezione che per ottenere e rimanere al successo, solo quelle che avevano loro fossero le caratteristiche di leadership fondamentali.
Dov’è che ho già sentito questa considerazione?
Leggendo i bias sulla leadership.
Se una donna non dimostra di essere sottomessa, moderata e amorevole di cura viene giudicata, mentre l’uomo deve essere dominante, competitivo e assertivo. E se non ti adegui a questi stereotipi il tuo stipendio ne risente. Lo dice un paper dell’Università di Padova.
Se una donna è assertiva, risponde alle domande in modo persuasivo, orienta le scelte e ottiene il consenso altrui viene giudicata come bossy e aggressiva. E considerata meno competente rispetto a un uomo. Lo dice questo paper.
Le donne ricevono in genere più del doppio dei feedback rispetto ai colleghi maschi sullo stile di comunicazione aggressivo, soprattutto quando fanno una richiesta o condividono le loro opinioni e insights. Lo dice Stanford.
Abbiamo bisogno di role model diversi. Più Massimo Guastini, meno Silvio Berlusconi.
Entrambi imprenditori. Ma con visioni e leadership completamente opposte.
Tutta questa analisi potrebbe essere letta in due ottiche.
Una di lamentela.
E una di divulgazione.
Per me l’obiettivo è la divulgazione. Perché solo se tutti siamo coscienti dell’esistenza di questi problemi possiamo provare a capire come risolverli. Abbiamo bisogno di più domande (grazie Lorenzo) e di più soluzioni. Se avete delle idee sono tutta orecchie. Io intanto sono partita dal risolvere un problema base, quello della rappresentanza delle donne sui palchi. E siamo anni luce dal capire sia un problema.
✍️ Tutte le startup che assumono in Italia questa settimana
📎 Non è una startup ma è un programma per supportare scale up europee ad espandersi nel continente africano, super interessante! Tutte le info qui
📎 xFarm Technologies, startup agrifood di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, cerca Sales Consultant a Milano
📎 Unobravo assume Business Development Manager e Corporate Sales Senior Manager in remoto
📎 Unicorn Mobility startup olandese nella micro mobility con founder italiani che ha raccolto €2M cerca Junior Account Executive in remoto
📎 We School cerca Product Marketing Lead in remoto
📎 Klarna cerca Vendor Account Manager a Milano
📎 MIPU srl assume People Manager a Dueville, Vicenza
Ci sentiamo la settimana prossima tornando con le interviste alle startup, sperando succedano un po’ meno cose che mi sembra sia passato un mese non solo una settimana.
E per chi è a Milano ci vediamo giovedì sera al Wellio Duomo con Viceversa e GRLS!
Alessia
Grande newsletter e splendido messaggio Alessia, finalmente qualcuno che lo scrive.
Bellissima questa frase ma un pò troppo politcaly correct: Mi ci sono voluti varie esperienze in diversi Paesi, e diversi libri per capire che questo, quando parliamo di leadership, era parzialmente corretto.