Dopo una lunga pausa tra Pasqua e i ponti di aprile e maggio, sono sparita per qualche settimana — ma eccomi di nuovo qui!
Ma nel frattempo, è successo proprio che “è morto un Papa e se n’è fatto un altro” e non solo! Sono mancata solo qualche settimana, ma sembra siano passati mesi.
Il mondo tech non ha perso tempo, e l’intelligenza artificiale ha accelerato ancora.
Alcune notizie che mi hanno colpito particolarmente:
Figma si espande e si riposiziona con nuove funzionalità AI-driven, come la possibilità di creare siti web e immagini personalizzate replicando Canva e Wordpress grazie all’AI.
Meta vorrebbe non solo che l’AI rimpiazzasse la creatività umana aka i social media manager e chi fa paid ma anche nostri amici, quando non li abbiamo. Peccato che i psicologi ci dicano che le relazioni virtuali non potranno mai duplicare quelle umane (e quando ero in PlayStation nel 2015 e gestivo le strategie di PlayStation Home erano chiari i problemi che derivavano da questo tipo di esperienze digitali).
Quindi se la tua azienda è sui social cosa ti conviene fare?
In questo numero di Startup Stories approfondiremo proprio questo concetto.
Meta non vuole solo i tuoi soldi, ma anche la tua creatività
Mark Zuckerberg, in un’intervista con Ben Thompson nel suo podcast Stratechery, ha annunciato una visione che potrebbe riscrivere completamente le regole dell’advertising digitale.
Una visione in cui l’inserzionista non ha più bisogno di creatività, strategia o targeting: basta dire a Meta quale obiettivo si vuole raggiungere, connettere il proprio conto in banca, e il sistema fa tutto da solo.
Foto e video generati con AI, copy scritto da LLM, ads costruiti automaticamente, targetizzati con dati comportamentali, testati in real-time e ottimizzati senza intervento umano. Tu, azienda, devi solo “leggere i risultati che ti sputiamo fuori”, per usare le sue parole. E fidarti.
“Connetti il conto in banca e guarda i risultati”, ha detto Zuckerberg.
Un modello di advertising a ciclo chiuso, completamente automatizzato.
Una social media nightmare
Questo non è solo un colpo al cuore delle agenzie pubblicitarie tradizionali.
È anche una minaccia diretta a un’intera categoria professionale: quella del social media manager. Se l’algoritmo fa tutto, cosa resta da fare a chi, fino a oggi, ha costruito contenuti, piani editoriali, strategie e community per conto dei brand?

Una critica forte arriva anche da un recente articolo di TechCrunch, che ha definito questa visione una potenziale “social media nightmare”. L’analisi evidenzia che se da un lato questo modello può semplificare la vita alle piccole imprese, dall’altro rischia di saturare i feed social con contenuti generati in automatico di poca qualità, riducendo drasticamente la qualità dell’esperienza utente.
I social rischiano così di diventare ambienti in cui ogni contenuto è un annuncio pubblicitario generato in serie, privo di autenticità. Un feed fatto di variazioni infinite della stessa inserzione, ottimizzata per la performance ma svuotata di significato. In un contesto del genere, quanto spazio resta per contenuti realmente umani, relazionali, autentici?
20 anni di social media manager
La figura del social media manager è nata nei primi anni 2000, quando piattaforme come MySpace hanno iniziato a essere utilizzate in modo globale e crescevano.
È con l’ascesa di Facebook e Twitter, che il lavoro del social media manager ha preso forma. Inizialmente, molti vedevano i social media come la semplice attività di caricare post e raccogliere like, ma presto si è capito che gestire una presenza online richiedeva competenze specifiche in strategia, comunicazione e analisi dei dati.
Anche io 15 anni fa ho mosso i miei primi passi nel mondo del marketing digitale proprio grazie a Facebook e Twitter. Ricordo quanto fosse difficile far capire che il social media management non era solo una "moda", ma un mestiere che richiedeva capacità e skills ad hoc. Probabilmente in Italia questo non è ancora stato capito da tutti. Dei miei primi anni Londra invece mantengo i miei cari ricordi sulle prime sperimentazioni con i contenuti organici di YouTube e nelle pagine FB quando gli algoritmi organici funzionavano e davano molte soddisfazioni.
“Sapere come funziona” non basta più
Oggi, invece, è evidente che il settore ha cambiato forma e che per rimanere al passo con la continua evoluzione degli algoritmi, le funzionalità emergenti e le nuove piattaforme da padroneggiare, servono non solo competenza, ma visione e strategia.
Il social media manager non può più rimanere dietro le quinte come un regista che coordina tutto ed entra in azione solo al momento della pubblicazione perché il successo non è scontato: deve sempre più prendere parte al processo in prima linea come creator perché il successo non si ottiene più in modo scontato, solo cliccando sul bottone “pubblica”.
La risposta, forse, sta proprio lì.
Chi fa la differenza già da oggi, infatti, non è più chi sa “caricare post” o “ottenere i like”, ma chi è capace di costruire una community concreta e coinvolta: riconoscibile, di valore, mettendoci sempre più la faccia. I social media manager del futuro non saranno esecutori, ma veri e propri creator, capaci di attivare non solo contenuti ma connessioni, conversazioni, valore.
Quelli che sopravviveranno, saranno quelli in grado di offrire qualcosa che nessuna IA, per quanto potente, potrà mai replicare: l’empatia, il contesto, la creatività che porta a continue nuove idee e che diventano a loro volta la voce autentica di un brand. E i nuovi format come il live streaming di TikTok!
Benvenuti nel nuovo ciclo del social: dove l’automazione è ovunque, ma l’umanità diventa il vero valore competitivo.
E per chi fa paid?
Oltre all'evoluzione del social media manager, anche il ruolo dei paid manager sta vivendo una trasformazione radicale.
Fino a oggi, chi gestiva le campagne paid su Meta aveva il compito di gestire campagne pubblicitarie, ottimizzare i budget, analizzare i risultati e fare aggiustamenti strategici.
Ma con l’introduzione di un sistema completamente automatizzato, dove Meta genererà creatività, testerà annunci, ottimizzerà targeting e segmentazione, e calcolerà performance in tempo reale, il lavoro del paid manager cambia.
L’automazione riduce la necessità di interventi manuali, ma allo stesso tempo impone una nuova sfida: i paid manager non dovranno più preoccuparsi di "impostare" la campagna, ma diventeranno esperti nell’interprete dei dati generati dall’AI e nel monitoraggio delle performance per ottimizzare gli obiettivi aziendali.
In altre parole, non si tratterà più di creare e ottimizzare campagne da zero, ma di interpretare in modo strategico i risultati che l’AI restituirà, guidando la macchina verso gli obiettivi giusti.
Il paid manager del futuro sarà sempre più uno "strategist" più che un tecnico. E per emergere, dovrà essere abile nell’individuare e cogliere le opportunità che l’automazione non riesce a cogliere, affinché il valore umano resti un fattore competitivo in un mondo sempre più dominato dalla macchina.
Grazie per avermi letto fino a qui! 🙏
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📍Non scrollare: da leggere
Il mio amico Gian Segato, oggi in Replit, ha scritto un pezzo fantastico sugli Agent. Gian è uno di quelli che vede la gen AI da un punto di osservazione privilegiato, e probabilmente capisce dove stiamo andando molto prima di noi.
Se vi state ancora chiedendo se in futuro serviranno grandi team per costruire aziende enormi, o se un master in Bocconi farà ancora la differenza, fermatevi qui e leggete Agency is Eating the World. In un mondo dove tutto diventa più semplice da costruire, il vero vantaggio competitivo si sposterà dal prodotto alla distribuzione. Il vero "superpower" sarà la capacità di acquisire utenti, non di scrivere codice. E in un contesto in cui piattaforme come Meta automatizzano sempre più anche l'advertising, la sfida sarà capire come mantenere un vantaggio umano aka controllabile e misurabile in un processo sempre più governato dalle macchine.Andrew Chen, in un’analisi sui cambiamenti del growth hacking nell’ultimo decennio, conferma questa traiettoria. Secondo lui siamo alla fine dell’effetto novità del mobile: le persone non scaricano più app con l’entusiasmo di una volta, e i canali di crescita stanno diventando sempre più saturi e costosi.
Per le startup, questo significa che sarà più difficile scalare, e che molte delle strategie classiche come l’A/B testing perdono efficacia. Chen osserva anche che l’impatto che tutti noi ci auguravamo potesse dare il growth hacking alle aziende e ai team è stato molto minore di quello che auspicavamo. In molte aziende non sono nati reparti di growth ma le competenze di chi fa growth sono state semplicemente assorbite da altri ruoli: oggi è normale vedere product manager che fanno esperimenti, e team marketing che montano landing page per ottimizzare CAC e LTV. Tutti fanno “growth”, ma quanti riescono ancora a farlo in modo davvero distintivo e strategico?
Anche oggi siamo arrivati alla fine.
Un grazie speciale a chi continua a condividere questa newsletter su LinkedIn e sui propri canali: è anche grazie a voi se queste parole arrivano un po’ più lontano della mia bolla, ed è sempre stimolante scambiare idee con chi la trova interessante. Quindi grazie Edo, grazie Rossana, grazie Marta e grazie tutti!
Proprio in questi giorni questa newsletter compie sei anni. Sei!
Era nata come un modo per restare in contatto con chi aveva letto i miei libri finché ero a Londra e invece è diventata una conversazione continua, un punto di osservazione privilegiato sul mondo tech, startup, growth e marketing.
E siccome in sei anni sono cambiate tante cose (compresa me), ho deciso di far nascere un nuovo progetto: una newsletter dedicata a chi vuole scoprire le startup italiane più promettenti. Quelle che crescono sotto il radar, non finiscono nei comunicati stampa, ma fanno cose davvero interessanti in prodotto, team e crescita.
Se vi incuriosisce capire dove investire, sia che siano soldi o energie professionali, ecco la novità che vi avevo promesso. Seguite qui:
Il secondo numero esce settimana prossima :)
E per oggi è tutto, buona festa della mamma a tutte le mamme là fuori, comprese quelle che si svegliano la mattina alle 6 per portare avanti i loro side projects, qualsiasi questi siano.
Alessia