Come si crea il team in una startup?
Un metodo per capire come scegliere le persone e identificare le competenze che potrebbero servire.
Eccoci qui in questa penultima newsletter prima dell’estate.
Vi anticipo subito che anche in questa newsletter sarò molto diretta, come credo serva essere. Ed è molto densa, come piace a me.
Questa settimana parliamo di competenze
Sono stata selezionata dal Comune di Milano come mentor per il programma di Mentorship Milano, durato sei mesi e appena concluso. La prima cosa che ho detto alle mie mentee, due ragazze 16-30 Michelle e Veronica, è stata: le carriere lineari non esistono e, nella maggior parte dei casi, non fanno di noi delle persone soddisfatte e felici. Ancor di più nel mondo che stiamo vivendo, dove ogni 3-5 anni tutto cambia velocemente e, se non impariamo quello che di nuovo c’è da imparare, rimaniamo inevitabilmente indietro. A qualsiasi età. Ancora di più se giovani.
Vivere in diversi Paesi mi ha fatto avere una visione abbastanza particolare del contratto a tempo indeterminato: per me è il miraggio della stabilità. Nonostante quello che ci hanno detto i nostri genitori e la sicurezza per cui nessuno ci manderà via, credo dia valore solo in apparenza (a meno che non vogliamo comprare casa). Diventa spesso una gabbia dorata in cui nella maggior parte dei casi non riusciamo a crescere e non impariamo nulla di davvero nuovo o diverso. Trovandoci a dire “Sì, capo” per tanto, spesso troppo tempo.
Quando facciamo le nostre scelte dovremo ricordarci che non possono più essere per la vita. Inevitabilmente cambieranno, da qui ai prossimi 3-5 anni. E non c’è nulla di male in tutto ciò. Anzi, credo sia l’unica certezza che da oggi in poi avremo.
Le mie mentee mi sono sembrate felici, ne ho le prove.
Ho imparato che le competenze sono più importanti di un contratto a tempo indeterminato presso l’azienda x, perché sono quelle che determinano la nostra esperienza nel medio/lungo termine.
Quindi, più che domandarci come fare a entrare nell’azienda x dovremmo chiederci che skills voglio acquisire e qual è l’azienda più adatta affinché ciò succeda?
In questo Paese dove i dati sugli stipendi sono allarmanti, sia in termini di livelli sia in termini di crescita, credo sia fondamentale capire su quali competenze investire per provare a sopravvivere e costruirci un percorso di valore che duri nel tempo.
In Italia questo discorso non è ahimé così logico.
Contano ancora tantissimo i nomi dei brand e delle aziende corporate in cui si lavora, al di là del lavoro che si fa in quei contesti. In Italia le risposte al “cosa fai” sono spesso “lavoro da x”. Esattamente il contrario di quello che succede a Londra e Berlino dove la professionalità dipende da quello che fai e dai risultati ottenuti non dalla traslazione sul tuo cv della popolarità del brand dell’azienda per cui lavori.
Qualche mese fa, quando avevo appena concluso la mia esperienza in Taxfix, un amico mi ha dato un feedback. Mi ha consigliato di dimostrare la mia esperienza e le mie competenze invece di limitarmi a raccontare quello che avevo fatto.
Devo dirvi la verità: mi ha aperto gli occhi ma allo stesso tempo mi ha un po’ stupito, perché le cose prima di raccontarle, le ho sempre fatte. E credevo di avere competenze solide sviluppate in diversi contesti.
Mi sono fatta un po’ di domande.
1. Se pensava così forse c’era un gap di trust? Non trasmetto quella fiducia che aiuta a correlare le esperienze fatte all’estero, che spesso non sono brand conosciuti in Italia o corporate famose, con competenze di valore?
2. Forse risulta difficile comprendere le mie competenze, in un’Italia dove le startup non fanno vero product o fanno quel “growth” che all’estero si chiamerebbe performance marketing? In un ecosistema le startup continuano ad assumere commerciali per partecipare a fiere ed entrare così in nuovi mercati (come negli anni ‘90) e dove non ci sono donne CPO non mi stupirebbe.
3. Era biased per un contesto in cui c’è troppa gente che parla e poca che fa?
Sarà per questo che dopo Taxfix, ho ricevuto zero feedback costruttivi da una decina di CV inviati a startup italiane? L’unico brand che conta nel mio CV è PlayStation e quell’esperienza risale a 10 anni fa. Ma davvero nel 2023 conta ancora dove fai le cose, la fiducia che trasmette il tuo personal brand perché hai lavorato in azienda x e non i risultati che hai fatto ottenere a un’azienda anche se poco famosa?
Ditemi che ne pensate, please.
Non ho una risposta precisa. Forse la risposta è una combinazione delle tre. Forse serve porsi altre domande?
Io mi stupisco perché all’estero non vengono messe in dubbio le tue competenze senza prima provarle. E non le dimostri prima di essere assunta. Tutto quello che ho fatto nella mia carriera è nato dall’aver provato a fare, averlo fatto, aver trovato qualcuno che ha creduto in me a cui ho trasmesso fiducia da lasciarmelo fare e aver raggiunto dei risultati ambiziosi.
Al di là del brand che c’era dietro. All’estero si impara che non sono i brand per cui lavori che affinano la qualità delle competenze. Meglio avere PS4, Transferwise o Rentecarlo nel mio CV? Boh. Non è mai stato un problema. Per me e per chi c’era intorno a me quello che contava era fare, piuttosto che ottenere un ruolo che dimostrasse qualcosa. Così anche per tutte le persone che ho incontrato all’estero, dove venivo assunta per fare le cose e venivo messa nella situazione di poter farle per ottenere fiducia. Non contava dove le avessi fatte prima, contava cosa avessi fatto e il potenziale che potevo fare nel futuro.
Il mio stupore nasce non solo da queste considerazioni. Ma anche dal fatto che era così nel 2012 quando me ne sono andata, e non mi pare che questo Paese negli ultimi 10 anni sia davvero cambiato, nella sostanza delle cose. Se quello che conta quando si assume una persona sono gli anni di esperienza in una carriera lineare, meglio se all’interno di poche e conosciute aziende, allora Italia mia, non è che il problema sono io, ex-italiana all’estero, che guardo solo gli stipendi. Non posso che essere d’accordo con la risposta della mitica Serena Perfetto da San Francisco (che vi consiglio di seguire perché è fortissima). Il problema è che tu non sei cambiata molto, cara Italia, quando tutto il mondo intorno è cambiato di continuo in questi 10 anni.
I pochi feedback che ricevevo 10 anni fa erano legati al fatto che avessi troppa poca esperienza, poche competenze e quindi trasmettessi poca fiducia. Peccato che di startup in Italia nel 2012 ce ne fossero 2, quindi difficile sviluppare competenze. Ho preso un volo per Londra dove mi è stata data quella fiducia, che non guardava al passato ma al futuro e considerava competenze e motivazione. Ciao Italia. Forse mi toccherà dirlo di nuovo. Ma prima vi lascio un contributo perché secondo me avrebbe senso cambiare framework.
Purtroppo sono anche tornata in Italia con l’esperienza di una donna manager che non solo ha competenze ma ha anche fiducia in se stessa, sa negoziare stipendi e gestire persone guardando a dati e KPI. “È ovvio che incuti timore” mi dicono.
“Si sa che le donne dicono di saper fare ma poi non sanno fare le cose come le fanno i maschi, no?” Giuro sulla pizza senza ananas che l’ho sentito nella vita reale. E non fa ridere.
Come creare il team in una startup?
Ho conosciuto Lorenzo nel 2018, durante una mia consulenza con una startup italiana che voleva lanciare in UK. Eravamo nello stesso team, lavoravamo su ambiti simili, io avevo il cappello più strategico ma ci trovavamo in sintonia, anche perché ci scontravamo con chi, nel founding team, non ci voleva davvero ascoltare.
Ci siamo rivisti qualche settimana fa, non ci vedevamo davvero da troppo tempo.
Così dopo due ore di chiacchiere ho forse capito perché quella persona che gestiva team e progetto non ci ascoltava: non aveva capito le nostre competenze e non sapeva quali servissero al suo team. Ci aveva assunto perché aveva bisogno di chi gestisse il marketing e la strategia per il mercato in cui voleva dirigersi. Ma ciò non toglie che non avesse chiaro tutto il resto.
Perché assumere delle persone per poi voler dire loro cosa e come fare le cose, quando loro hanno competenze forse più avanzate delle tue?
È una domanda che mi pongo sempre e la cui risposta non è semplice.
Credo che ci siano alcuni problemi fondamentali. Li ho riassunti qui per trovare un metodo che possa in qualche modo esploderli e forse arrivare a delle soluzioni.
I problemi
Il primo. Chi è founder all’inizio mette tanta intuizione, creatività e acquisisce esperienza sul campo che poi diventa difficile delegare. Non è facile. È il problema principale dei first-time founder e si basa tutto sulla fiducia in se stessi e nelle persone che vengono assunte. Come si instaura la fiducia?
Il secondo. Chi è founder si deve in genere fidare di persone che spesso non conosce. Se non sa come instaurare fiducia, cerca chi è più in linea con il ruolo e con i suoi valori o caratteri personali, pensando che la fiducia arrivi poi in automatico. Quindi dov’è il rischio maggiore: assumere una persona che ispira poca fiducia, perché non ha una carriera lineare ed è diversa dal founder ma con solide competenze specifiche? O il contrario, ossia scegliere persone con anni di carriera in un percorso lineare, magari in aziende grandi e grossi brand, molto simile al founder ma con competenze meno specifiche? I dati ci dicono che i team diverse sono quelli che migliorano le performance aziendali. Forse abbiamo bisogno di approfondire i temi su fiducia e competenze piuttosto che trovare carriere lineari delle quali fidarci?
Il terzo. Chi è founder (ma in generale chiunque si consideri in posizioni di leadership) dovrebbe ascoltare feedback di diverse persone per capire come crescere e migliorare.
Il metodo per decostruirli
Partiamo dall’analizzare la questione della fiducia e passiamo poi alle competenze e al feedback.
1. La fiducia come un processo in 5 livelli
Sul primo punto, quella fiducia, sto davvero studiando parecchio. Perché pensiamo spesso che la fiducia sia questione di un giudizio binario che risponde alla domanda “mi fido?”. La fiducia dovrebbe invece essere il risultato di un processo, basato su diversi livelli, da sviluppare in questo modo sia all’interno di un intero team sia quando riguarda la relazione personale tra chi è founder e chi è nel team.
Al Primo Livello della Fiducia c’è la sensazione generale che abbiamo quando incontriamo qualcuno per la prima volta. Quello che fa e che dice quella persona ci permette di capire se è o sarà affidabile.
Subito dopo iniziamo a raccogliere dati per capire quanto quella persona è affidabile e coerente, questo rappresenta il Secondo Livello della Fiducia. In genere preferiamo dare fiducia a chi è prevedibile nelle azioni, reazioni e risposte. Rimaniamo inoltre in ascolto per capire quanto sia sincera quella persona. Quanto una persona ricama o esagera le verità quotidiane influenza la nostra fiducia.
Se ci fidiamo di una persona al Secondo Livello della Fiducia, valutiamo la sua capacità di agire. Quando abbiamo fiducia che abbia le capacità e le conoscenze per svolgere bene ciò che fa, raggiungiamo il Terzo Livello della Fiducia. Le competenze sono importanti solo se quella persona raggiunge il Primo e il Secondo livello della Fiducia. Diventiamo sospettosi delle competenze, se non ci ha prima convinto sull’affidabilità e sulla sincerità.
Con un gruppo più piccolo di persone, raggiungiamo il livello successivo di fiducia, che diventa emotiva. Al Quarto Livello della Fiducia entrambe le parti si sentono al sicuro e rispettate quando interagiscono. La fiducia emotiva incoraggia le persone a essere sincere, ma anche sensibili su ciò che metterebbe a disagio gli altri. Quando i membri del team si fidano dei leader a livello emotivo, accettano molto di più il feedback e sono disposti ad affrontare le sfide personali. Quando i leader si sentono di avere fiducia a livello emotivo, è più probabile che siano vulnerabili con gli altri riguardo ai loro veri sentimenti, dubbi e convinzioni. E in questo caso dovrebbero essere anche aperti al feedback.
L'ultimo livello di fiducia è il più difficile da raggiungere, soprattutto per chi è orientato ai risultati. La fiducia reciproca esiste quando entrambe le parti mantengono la sicurezza massima tra di loro.
In particolare, questo Quinto Livello di Fiducia dipende dal patto non scritto che entrambe le persone operino con buone intenzioni e abbiano messo da parte l'interesse personale per sostenere la relazione. Quando esiste una tale reciprocità nella fiducia tra le persone, la collaborazione e la trasparenza sono all'ordine del giorno. Le persone corrono dei rischi e sono più disposte a innovare insieme quando una fiducia così profonda e reciproca definisce la relazione.
2. Come trovare le competenze nel curriculum di una persona
Come si fa a estrapolare le competenze da una serie di esperienze? Dato che nel mondo, le aziende sono diverse avrebbe senso valutare i CV sulle competenze, più che sulle carriere lineari che come dicevo all’inizio hanno senso in alcuni Paesi ma non in altri. Come si fa? Ecco un esercizio sulla mia storia, ma sono curiosa di capire se avete altri framework.
Inizia tutto nel mondo delle startup UK, dopo alcune esperienze in Italia. Da Londra mi hanno subito detto vieni e aiutaci! Ci sembra che le cose tu le possa fare!
Continuo in PlayStation con il lancio di PS4, dei giochi multiplayer online e Twitch, che per il 2013 era un’innovazione immensa e continua con la gestione delle community beta per il visore di realtà virtuale.
Dopo 4 anni, competenze acquisite:
- creazione di un brand da zero e gestione e crescita di un brand global,
- lancio di una community da zero sulla sostenibilità e creazione e gestione di altre sul gaming su scale e verticali mondiali;
- campagne di acquisizione multi-canale con zero budget, experiments-driven, growth hacking, pivot e campagne di performance marketing organiche e paid,
- analisi dati e report, creazione di contenuti sui social media, gestione contest ed eventi su scala europea per progetti con team EU e global (EMEA +Japan + USA) comprese agenzie, PR, product managers etc..ps: ci sono anche le skills acquisite per una nuova vita in un Paese completamente diverso dal tuo, ma per semplicità mi focalizzerei solo su quelle professionali.
Torno poi nelle startup perché nel 2015 il mio network lì era in crescita pazzesca, tutti parlavano di Sharing Economy a Londra e io ero in FOMO. E poi, finalmente avevo capito che tutto quello che avevo fatto era growth hacking e quindi potevo riapplicare tutto ciò in nuovi progetti e startup, assegnando dei nomi fighi a quello che facevo.
Sono entrata in una startup di sharing economy e in 6 mesi ho messo su un piccolo team di marketing che ci ha fatto fare 4x del numero di customer e ho creato un team cross-funzionale che a suon di esperimenti ci ha fatto crescere esponenzialmente il numero di noleggi delle auto private (era come Turo ma per il mercato UK): grazie a quello ho capito cosa fosse fare product growth e product marketing. Eravamo prontissimi al fundraising che arrivava dopo il seed, stavamo testando altri mercati dove c’erano altri competitor in cui crescere velocemente. Avevamo lavorato giorno e notte per arrivare a quel momento, tra i litigi con il mio compagno che mi vedeva lavorare a qualsiasi ora. Ma io ero felice. E SBAM: i founder decidono di vendere al corporate partner che ci forniva le assicurazioni. Doccia fredda. Freddissima. Volevo rimanere lì almeno 3 anni ma non è andata come mi aspettavo.
Competenze acquisite in aggiunta alle precedenti, breve (9 mesi) ma intensa:
- Product marketing, product growth, product management, creazione e gestione di un team con competenze diverse per testare e sperimentare con marketing + product tactics diverse ipotesi per sbloccare Product/Market fit
- Creazione e gestione di un team di marketing duplicato in 6 mesi
- Crescita e continua ottimizzazione strategie di growth / product in linea a quelle di performance marketing per acquisition e retention con analisi dati complessi
- Pianificazione ed esecuzione di strategie di go-to-market su diversi Paesi EMEA
- Gestione di conversazioni e report con c-level, investitori, partner industriali
Ci ho messo un po’ a riprendermi, per fortuna non ero sola.
Ero circondata da persone che si trovavano in situazioni simili, che facevano un lavoro simile al mio e che volevano collaborare con me. Così ho provato a farmi pagare per collaborare con loro e la cosa ha funzionato molto bene per i successivi 3-4 anni.
Nel frattempo, anche in Italia volevano collaborare con me, così sono tornata sempre più spesso per raccontare cosa significasse fare growth hacking e come lanciare e far crescere una startup, basandomi su quello che avevo fatto (non su teorie scritte su libri esteri). Solo che in Italia le situazioni erano davvero complesse, i budget pochi e le conoscenze di base quasi nulle. Le consulenze le facevo a Londra, la formazione in Italia. Era il mio giving back, anche se mi trovano sempre più in situazioni difficili da gestire alle quali non ero abituata. Per esempio quando hanno copiato tutto Startup Marketing senza taggarmi o ringraziarmi e io non sapevo se dirlo o fare finta di niente.
Competenze acquisite in aggiunta alle precedenti:
- Lancio e gestione di progetti di formazione e workshop pratico / teorici sulle startup e growth hacking con università e acceleratori
- Creazione di framework di apprendimento e consulenza di market entry su diversi Paesi
- Creazione di framework di validazione per lancio e pilota tra startup e corporate
- Definizione, creazione e lancio di progetti editoriali, uno diventato best seller
- Public speaking e capacità di interfacciarmi con stakeholders a diversi livelli
- Project Management tour di presentazione, partnership commerciali etc..
Se siete d’accordo mi fermerei qui perché in questi 7 anni credo di aver sviluppato l’80% delle mie competenze. Se vedete il CV sono sicura penserete si tratti di un insieme di esperienze che sembrano poco collegate, ma quando il focus passa sulle competenze sono conscia che il filo conduttore sia molto chiaro, grazie anche ai feedback che ricevo e agli scambi con i miei e le mie mentor. È un esercizio forse un pelino specifico, facile se lavori in questo ambito, meno facile se sei in HR. Ma non per questo impossibile, anzi fondamentale: per esempio all’estero sono sempre più gli HR focalizzati in hiring per product e growth.
Negli ultimi 12 mesi ho provato a ricrearmi il network che avevo nel 2015 a Londra.
Per cercare di capire se ci fossero startup italiane, agenzie o aziende che non conoscevo e con le quali poteva esserci un match tra competenze ed esperienze. Tuttavia non ho avuto nessun feedback concreto e costruttivo. Non ho capito dove fosse il gap tra aspettative e competenze. Da qui l’idea che siano molto poche le persone che quando guardano un CV cerchino le competenze e non i brand.
3. Come ottenere il feedback per crescere
Chiedere feedback al nostro team non ci fa sembrare meno interessanti o autorevoli. Ci permette di creare e continuare a far crescere una cultura aziendale basata su fiducia e trasparenza. Ci sono alcune situazioni che bloccano una cultura basata sul feedback: l’incertezza, che non aiuta a creare un feedback loop perché le persone quando sono ansiose o hanno paura di perdere il lavoro tendono ad avere un atteggiamento conservativo, e una diminuzione del feedback negativo dato a chi si sposta in alto in termini gerarchici, privando i leader di quelle informazioni necessarie quando in genere ne hanno più bisogno, anche se spesso non lo sanno. Eppure è compito di chi sta sopra incoraggiare la condivisione di opinioni, soprattutto quelle negative che permettono di imparare e di far rimanere solidi team e organizzazione.
Cosa potete fare come leader:
domandare un feedback critico e accettare ma non fermarvi a quello positivo, perché è con le critiche che si migliora ed è confrontandoci con emozioni negative date da quel feedback che si cresce davvero.
La domanda da fare non è “che feedback hai per me” ma “c’è una cosa in cui ti posso supportare?” in modo da evitare le risposte poco utili come: “va tutto bene grazie”.
È normale che chi stia formulando una risposta a questa domanda si senta in una situazione poco confortevole. È compito di chi è leader smorzare le preoccupazioni e con empatia, assicurare sia in psychological safety.
È compito del leader ascoltare, senza ribattere. Lo scopo non è difendersi, ma capire, imparare e migliorare.
Non si finisce solo ascoltando, è necessario dimostrare di aver messo in pratica quel feedback. Questa secondo me è la parte più complicata, perché solo pochi dopo un po’ di tempo tornano su quel feedback comunicando cosa è stato cambiato nel comportamento
I migliori feedback sulla mia crescita sono sfortunatamente quelli più dolorosi. Così, nello spirito del feedback a 360°, grazie per aver condiviso in modo coraggioso e onesto come nei team meeting sia di norma per me saltare dei temi su cui sono impaziente o temi che credo non siano più rilevanti, senza tuttavia ascoltare i feedback altrui, facendomi notare che il dibattito sembra essere allineato quando in realtà non è così. È così vero, così triste e così frustrante continui a farlo. Ci lavorerò.
Reed Hastings, ex CEO Netflix nel libro “L'unica regola è che non ci sono regole”
È il momento di NON dire addio a 👋
👉 Non dovremmo pensare che i chatbot sostituiranno la Google Search perché ciò non avverrà. La MIT Technology review lo dice in modo abbastanza esplicito, spiegando come sia poco sicuro che continueremo a fidarci di quello che ci dicono dato che questi efficaci strumenti fanno fatica a capire quello che scrivono. Nonostante Google abbia presentato l’integrazione tra Bard e la Search (l’avevamo visto qui) nel team di Google Search sembra sia latente l’idea di trasformare questa idea in un prodotto.
Se volete sapere come migliorare le performance della vostra attività organica su Google Search, dato che sarà con noi ancora per molto tempo, vi aspetto giovedì in diretta qui.
✍️ Tutte le startup che assumono in Italia questa settimana
📎 Unobravo cerca Product Marketing Manager e Brand Partnership Manager in remoto
📎 Gellify assume Head of Creative a Milano
📎 Nen cerca Strategy & Business Development Expert a Milano
📎 MioDottore assume HR Director, Italy a Roma
📎 Satispay cerca Martech Project Manager a Milano
Aspetto i vostri commenti su questo numero sperando di non essere stata troppo diretta, altrimenti aspetto le vostre disiscrizioni: so di non poter piacere a tutt* e non è un problema, fa parte del mio posizionamento di brand da sempre :)
Alessia