È davvero un anno horribilis per le startup?
Dipende da cosa guardi. E torniamo a raccontare storie di startup.
Eccoci qui come ogni domenica a condividere qualche ragionamento sul mondo che ci piace di più, quello del tech e delle startup.
Siamo quasi arrivati alla metà di questo 2023: come sta andando?
È una domanda fatta diverse volte nel corso delle due settimane che ho passato a San Francisco ed è stato bellissimo vedere che nessuna risposta era troppo sarcastica o pessimista. Oltre agli insegnamenti condivisi qualche numero fa e su LinkedIn posso confermare che un grande punto di forza degli americani è la pragmaticità.
Siamo di fronte all’ennesimo ciclo con la curva che ora va giù e poi tornerà su. (le risposte erano sempre più o meno così).
In Italia invece ci piacciono le partite di calcio. Parliamo e discutiamo molto, anche senza sapere bene il motivo. Discutiamo per decidere se piazzarci sotto alla curva che dice “fallirà tutto, non può continuare così, le startup sono una bolla”. Così se davvero fallisce possiamo dire “eh si. te l’avevo detto, sono stata la prima persona a dirlo”. Però se per caso passiamo sotto alla tifoseria che dice “ce la faremo, siamo il futuro” ci viene da cambiare idea, diventando tutti startappari almeno fino alla prossima crisi.
Se siete d’accordo opterei per un terzo approccio: perché non partire dalle domande e cercare delle risposte, arrivando a un’analisi?
Per esempio mi domanderei:
- qual è la situazione di contrazione dei fondi alle startup e cosa ci insegna?
- cosa succede alle scale-up, licenzieranno ancora? (anche Taxfix purtroppo è andata in questa direzione)
Credo questo approccio sia fondamentale per chiunque lavori o voglia capirne di più di questo mondo. Qui sotto c’è una piccola analisi. Forse avrò riassunto un po’ troppo ma vi lascio uno spoiler se volete saltarla: la situa è meno terribile di quella che pensiamo.
Un bel linkino di Youtube di sottofondo e seguitemi!
💀 500 Startups per capire la contrazione di fondi alle startup dice: non guardate i dati del 2021
Uno dei posti che mi ha emozionato di più quando ero a San Francisco è stato 500 Startups, uno degli acceleratori più importanti al mondo, come dire Y Combinator.
Mi hanno emozionato soprattutto le sue parole: lui è Leonard Lee, Head of Accelerator Ops at 500 Global (500 Global è il nuovo brand ma io sono nostalgica e li chiamerò sempre 500 Startups) che oltre ad averci raccontato quali sono i parametri per cui selezionano le startup per i loro programmi di accelerazione (e guarda un po’ non c’è il fatturato) ci ha aiutato a capire che si, il fundraising e le valutazioni sono in declino. Ma forse non è davvero un problema, è un’opportunità.
Questo è un grafico che fa vedere come fino al 2020 l’aumento dei fondi dati alle startup sia stato graduale (secondo Pitchbook). Nel 2021 c’è stato un picco fortissimo che è poi rientrato nel 2022. Forse non è che oggi c’è una grande contrazione ma che nel 2021 siamo un po’ tutti impazziti.
Cos’è successo?
Ci eravamo convinti che la pandemia avrebbe accelerato tutto e tutti, il mondo sarebbe cambiato per sempre e tutti i prodotti digitali usciti e cresciuti in quel periodo avrebbero preso il sopravvento.
Oggi possiamo dire che il 2021 è stato un anno completamente non razionale e fuori da tutti i trend. Ci siamo sbagliati a livello globale e ora ne paghiamo le conseguenze.
Di quanto sono diminuiti i soldi alle startup?
Secondo Leonard l’elemento importante dell’analisi riguarda la serie storica dei dati. Se andiamo a vedere la situazione dei fondi alle startup, sembra che la contrazione sia enorme rispetto al 2021 o al 2022. Per l’early-stage (quindi le startup che hanno raccolto fino al series B) la contrazione sembra meno preoccupante.
rispetto a quella avvenuta per le scale up più grandi che stanno vivendo fasi più avanzate, dal series C in poi.
Quello che dobbiamo fare per avere un’analisi migliore è considerare set di dati più ampi, che riguardano serie storiche molto prima del 2021, in modo da avere una visione più ampia. Se partiamo dai dati dei trimestri degli ultimi 5 anni possiamo vedere che la situazione non è così tragica, soprattutto per le startup prima del Series A, in fase seed. C’è una crescita interessante dei fondi nel panorama USA per quanto riguarda i seed se eliminiamo il 2021 e prendiamo con le pinze il 2022.
La situazione è un po’ più drammatica per le startup americane che hanno raccolto series A o B, ossia quelle che hanno validato il prodotto e stanno approcciando diversi mercati puntando a crescere: sembra che per i fondi siano tornate al 2018.
Invece per le scale up che sono in series C, D ed E la situazione è davvero complessa, perché il calo è forte ed è presente dal 2022. Sono le organizzazioni più impattate da questa carenza di fondi e che quindi devono smettere di bruciare soldi puntando a diventare profittevoli. Se non ci riescono hanno solo una via: le partnership con altre scale up o corporate mettendo assieme gli sforzi, i prodotti e il cash per sopravvivere. Come per esempio ha fatto l’Italiana Shopfully che dopo un series C nel 2015 di €10M e diverse acquisizioni europee si è unita a MEDIA Central Group, gruppo tedesco nei volantini e più in generale nella strategia drive to store.
Vediamoci la situa in un bel grafico tutta assieme:
Quindi cosa ci insegna tutto ciò?
1. Stiamo vivendo un buon momento per costruire e lanciare una startup, i fondi seed e quelli early-stage non stanno subendo grandi e gravi contrazioni.
2. I problemi iniziano ad arrivare quando dobbiamo dimostrare la profitability e ciò non succede prima di alcuni anni dal primo seed, sicuramente dopo il Series B. Se sei una early-stage e non stai bruciando milioni, forse non mi preoccuperei troppo.
3. Non guardiamo troppo agli anni della pandemia, perché la crescita in quel periodo era quasi drogata.
4. Se vogliamo lavorare in startup è meno rischioso mandare cv a startup early-stage piuttosto che a scale up. Quei brand che conosciamo e che guardiamo con ammirazione nascondono sono quasi tutti ristrutturazioni interne o M&A. La situazione non è per niente stabile.
5. Il 2023 sembra un anno di consapevolezza, vediamo cosa succede alla fine di Q2.
E i soldi alle startup europee?
La situazione in Europa per le startup early-stage sembra più rosea rispetto agli USA, secondi i dati di Pitchbook. Le valutazioni delle startup seed sembrano stabili tra 2022 e 2023, spinte da investitori che scommettono su idee per il lungo termine.
Anche in questo caso le situazioni meno stabili sono nelle scale up che hanno chiuso series A e series B, con valutazioni in calo da ormai tre trimestri consecutivi dovute a diverse aspettative del mercato, multipli di fatturato che perdono di senso e strategie di crescita che non riescono a combinare profitability ed espansione.
Le aspettative sulle valutazioni delle scale up later stage sono ancora più negative rispetto ai valori relativi al primo trimestre 2023, anche se è troppo presto per una previsione. E dopo tutti questi licenziamenti ci si aspetta che gli unicorni stiano calmi.
Mettiamole assieme e vediamo che affettivamente il trend overall è molto simile a quello americano.
Il fintech è un settore sotto pressione
Se volete investire o lavorare nelle grosse del fintech vi conviene aspettare perché le sfide rimangono soprattutto nelle scale up nei later stage (serie C, D, E) le cui valutazioni sono scese e gli investimenti sono diminuiti dell’80% rispetto al 2021.
Il climate tech cambia direzione
Era il settore a cui tanti VC, osservatori e analisti guardavano convinti fosse quello trainante nel 2023 (dati dealroom) ed invece in questo primo trimestre l’abbiamo visto rallentare, soprattutto negli USA. Vedremo cosa succederà alla fine di questo trimestre e nel prossimo, sono molto curiosa perché anche io lo davo tra i settori trainanti di questo 2023, nonostante la crisi.
Vi è piaciuta questa analisi? Condividetela con chi ha una visione scettica sulle startup
Se volete approfondire il link di Pitchbook è qui. Se invece volete conoscere Leonard Lee vi tocca aspettare la prossima edizione di SMAU San Francisco :)
🃏Asso piglia tutto
Nuova rubrica che vuole raccontare quali sono i nostri assi nella manica nel mondo tech. 10 anni fa avrei risposto il digital, gli e-commerce, le app. Quali sono le opportunità lavorative, le competenze e i settori in cui vale la pena dirigersi se iniziassimo a lavorare oggi? Se finora il digitale tech è stato il settore più in crescita, con il maggior numero di carriere e in termini di livello di stipendi, non dobbiamo pensare che lo sarà per sempre.
Secondo il World Economic Forum, la transizione ecologica sarà il prossimo grande driver di novità in termini lavorativi. Questo è un bel grafico che racconta le prospettive dei prossimi anni, tutto l’articolo si legge qui.
La story di chi l’ha lanciata (la startup) 🎙️
Torniamo a raccontare le storie delle startup italiane, questa settimana parliamo di xFarm. Cosa possiamo imparare? Al microfono con il CEO, Matteo Vanotti.
Com'è nata xFarm e qual è stato il percorso di crescita?
xFarm è nata nel 2017, quando nell’azienda agricola condotta insieme ai miei fratelli ci rendemmo conto della necessità di utilizzare un servizio digitale che mi permettesse di gestire, in maniera semplice ed efficace, tutti i nostri appezzamenti.
Da questo bisogno ha cominciato a prendere forma la prima idea che si è trasformata in xFarm, nata dalle esigenze del campo, ampliandosi poi con la fusione di Farm Technologies, che ha permesso lo sviluppo di servizi verticali sulla parte agronomica. L’obiettivo è stato quello di voler migliorare attraverso il digitale la vita di milioni di agricoltori, favorendo una maggior sostenibilità ambientale.
Come le domande che fanno gli investitori: perché voi?
Quello che ci differenzia è il fatto di aver sviluppato una soluzione all-in-one per la trasformazione digitale in agricoltura. Abbiamo saputo reagire velocemente alle richieste di mercato, sviluppando e integrando nuovi servizi che ci permettono di avere un’offerta orizzontale unica. Riusciamo così a risolvere le esigenze dei player più disparati con una soluzione per digitalizzare il settore agroalimentare.
Cosa significa lavorare in un settore in forte crescita come Agritech/climate tech oggi, creando e lanciando soluzioni per tempo, da veri pionieri?
Aver scoperto per tempo questa lacuna di mercato è stato di fondamentale importanza, ci ha dato infatti il tempo di individuare le difficoltà principali e di migliorare le nostre soluzioni partendo dalle vere esigenze della filiera agroalimentare. Senza dubbio, nel contesto dinamico in cui viviamo, la velocità è un carattere fondamentale. Essendo un mercato relativamente nuovo, arrivare per primi significa avere un vantaggio competitivo molto importante. D’altra parte, operare in un mercato nuovo significa anche dover scardinare preconcetti e vecchi paradigmi – specialmente in un settore molto legato alla tradizione come quello agricolo. Questo si traduce sia nello sviluppo di soluzioni tecnologiche semplici e intuitive, sia nella necessità di far comprendere tramite la divulgazione i benefici e l’importanza dell’Agricoltura 4.0.
Chi sono i vostri clienti? Come li acquisite?
Gran parte dei nostri clienti sono le aziende agricole, ma lavoriamo anche con aziende agroalimentari, quelle che producono macchinari agricoli, compagnie assicurative...
Il mercato è cresciuto, a dimostrazione che quasi tutti i players collegati all’agricoltura possono beneficiare dei vantaggi offerti dalle tecnologie digitali.
I social media sono stati canali fondamentali per raggiungere gli agricoltori, mentre per il mondo B2B, eventi e fiere sono i canali principali di acquisizione di nuovi leads.
Come avete fatto a capire che c'era effettivamente un mercato?
Il processo è stato abbastanza naturale perché xFarm è nata dalle esigenze della mia azienda agricola, quindi siamo partiti dai problemi reali del campo che poi erano gli stessi di altre migliaia di agricoltori. Già dalle prime campagne di test abbiamo riscontrato un grande interesse e questo ci ha dato fiducia e fatto capire che c’era effettivamente un mercato per la nostra soluzione.
Come avete fatto a capire di essere arrivati al product-market fit?
Come tutte le startup, anche in xFarm abbiamo continue evoluzioni ed espansione dei modelli di business. Tutto è iniziato con una versione embrionale della piattaforma, che appena ho iniziato a mostrare ad alcuni amici e agricoltori vicini ha riscontrato stato stupore e interesse, con una prima indicazione sul fatto fosse la strada giusta. Nel corso dei mesi successivi abbiamo evoluto la piattaforma, rendendola orizzontale, per intercettare più necessità e posizionarci come uno strumento all-in-one. Anche qui abbiamo capito di aver azzeccato il fit quando abbiamo visto i primi clienti abbandonare strumenti molto specializzati e storici, per abbracciare la nostra idea di ecosistema unico. Infine, l’ultimo grande passo l’abbiamo fatto quando abbiamo deciso di aprirci anche al B2B2C, creando nuovi strumenti per le industrie agroalimentari ed i produttori di macchinari agricoli. Qui la conferma di product-market fit è stata più dura da conquistare, per la cautela e la complessità di contrattazione tipiche del mondo B2B, ma non appena abbiamo siglato i primi contratti con grandi brand, come SDF e Barilla, abbiamo capito fosse un nuovo modello di business che poteva affiancarsi al mondo delle aziende agricole.
Qual è la vostra North Star Metric?
La nostra North Star Metric è il numero di ettari digitalizzati all’interno della piattaforma. xFarm permette di gestire digitalmente i campi delle aziende agricole e il tracciamento serve per usufruire di buona parte dei servizi offerti. Tanto maggiore è la quantità di superficie gestita in piattaforma tanto maggiore sarà il valore generato.
Qualcos'altro che vuoi raccontarmi e non ti ho chiesto?
In questi anni abbiamo vissuto tante esperienze, creato un team incredibile e lavorato con le aziende leader del settore agroalimentare. Fare startup non è facile, però significa potersi arricchire di tutto questo, dando un contributo importante alla risoluzione di problemi rilevanti per la società. Per xFarm oggi il problema è quello dei cambiamenti climatici e la necessità di lavorare per produrre cibo in modo più sostenibile, migliorando la resilienza e la sostenibilità delle aziende agricole.
È il momento di dire addio a 👋
👉 BOOM, la startup su cui tutto l’ecosistema italiano scommetteva nel 2018-19 e che nel 2020 raccoglieva $7M per diventare l’Amazon delle foto commerciali sembra essere in forte crisi. I fotografi dicono che non vengono pagati da mesi e l’ultimo articolo che ho trovato su di loro è del dicembre 2022. Sarebbe bello se qualche giornalista di quelli che scrive entusiasta dei round di finanziamento facesse anche delle inchieste sulle startup che spariscono come succede negli ecosistemi più maturi. Io nel frattempo su BOOM di speranze ne ho poche ma spero di sbagliarmi.
✍️ Tutte le startup che assumono in Italia questa settimana
📎 Gympass startup americana in fitness cerca Demand Generation Manager a Milano
📎 SMAU cerca Junior Event manager a Padova
📎 Iubenda startup italiana in legaltech assume SaaS Head of Product (Remote
📎 Docebo cerca Content Consultant a Milano in ibrido
📎 Flash Pack startup traveltech UK cerca SEO Content Lead in remoto
📎 Shopify cerca Partner Marketing Manager (Remote, UK)
Grazie per aver letto fino a qui, spero che questa analisi ti sia piaciuta. Fammi sapere se preferisci questi contenuti o quelli più pratici su “come si fa a…nelle startup!”.
Mi trovate a questo bell’evento a Milano il 22 dove torno a fare la speaker, ci vediamo? Mentre se siete a Torino il 22 vi consiglio questo aperitivo di Hi!Founders.
Ci sentiamo la settimana prossima, dai che sto giro è proprio cominciata l’estate!
Alessia
Bello il nome della nuova rúbrica