Startups Stories #51
Non è una newsletter su Sanremo allora la taglio corta (I contenuti che mancavano dall'edizione di ieri sono qui)
Perché abbiamo così paura di fallire?
Ieri avete ricevuto una newsletter che non era finita.
Ero in treno e tra un movimento da contorsionista e un whatsapp, finché aggiungevo alcuni pensieri, ho schiacciato invio per sbaglio. Spiega molto bene la mia energia e la mia settimana, passata a correre di qua e di là, tra una call e l’altra, per condividere idee, incontrarmi e confrontarmi con persone. Ma non voglio giustificarmi, voglio cogliere questa occasione per riflettere.
“Ho fatto un enorme errore, e adesso?”
”Ora cosa penseranno i miei lettori? Che sono sbadata, che faccio le cose all’ultimo”. “Chissà in quanti si disiscriveranno”.
“Chissà cosa penseranno le persone che l’hanno letta”
In passato avrei avuto questi mille pensieri nella mia testa. Mi sarei giudicata, mi sarei data della distratta, della poco precisa e avrei persino messo in ginocchio la mia bravura. Perché a nessuno di noi piace fare errori. E mi sono chiesta: perché?
Ho sempre preteso moltissimo da me.
Scrivo, cancello e riscrivo molte volte i miei testi perché penso sempre di poter farli meglio. Poi alla quinta rilettura, li pubblico. Perché con il tempo ho imparato non solo a gestire la mia autocritica chiedendo feedback alle persone che mi stanno intorno ma ho iniziato a pensare qual è la vita media di quel testo: serve rileggerlo mille volte se la sua vita media è di un’ora? Forse no.
Ma perché sono così autocritica? Credo che questo mio atteggiamento si manifesti per gestire le aspettative di chi penso mi leggerà e forse mi giudicherà. Non solo quando c’è di mezzo un errore. Perché fare un errore ci destabilizza? Io credo perché significa mettere in discussione la fiducia delle persone nei nostri confronti.
Allora perché non chiedere quali sono le aspettative delle persone prima di auto-metterci in croce?
Io l’ho fatto con alcuni sondaggi e credo che chi mi segue non guardi la perfezione. Non mi considero una persona perfetta. Anche perché la perfezione non esiste, è un’illusione. Cresciamo con l’idea che la nostra vita sarà perfetta: un 110/110 ci aiuterà a trovare il miglior lavoro, la migliore azienda. Non è vero. Ed è bello leggere biografie americane perché in quella cultura le carriere lineari non sono interessanti. Sono più avventurosi i cambiamenti di percorso, i learning, i fallimenti che hanno portato a novità imprevedibili. Nella mia carriera ho fatto mille errori, perché non accontentandomi di rimanere nella mia zona di comfort, il mio obiettivo non è mai stato rincorrere la perfezione. Ma imparare e crescere. Muovendo un passo dopo l’altro, come in bilico sopra a una corda, appesa a una parete.
Molte volte ho pensato di dover giustificarmi perché non ero stata perfetta.
Ma quando pensavo a me, alla mia felicità e alla mia soddisfazione capivo che erano stati proprio gli errori ad avermi fatto riflettere, pensare, migliorare e crescere.
È parte del percorso, del rischio. Ed è il motivo per cui mi piace così tanto parlare e lavorare nelle startup. Imparare è il motivo che mi spinge a fare le cose, che mi spinge a testare. Per me è sempre: better done than perfect. E non è mai solo perfect.
Quindi, buttiamoci, testiamo, iteriamo, andiamo avanti.
La vita non sarà mai perfetta ma forse è proprio per questo che è bella.
E per voi cosa significa fare un errore?
L’analisi tech della settimana
È un momento fantastico per le startup early-stage.
Stanno nascendo molte nuove startup. E alcune di queste, arrivano da chi non te lo aspetti: i founder di Instagram stanno lavorando ad Artifact, una sorta di TikTok per i testi. Daniel EK che nel 2006 ha lanciato Spotify e ha un patrimonio stimato in più di $2mld, sta lanciando Neko un nuovo progetto nell’health tech.
Ma cosa sono le startup early stage? Sono le startup all’inizio del loro percorso, quando i fondatori hanno un’idea, un’intuizione e fanno di tutto per capire se è possibile costruirci un prodotto e un’azienda. Si assume qualcuno, si parla con investitori e mentor, ci si sporca le mani in prima persona perché quello che più conta in questa fase è ottenere informazioni e insights dal proprio mercato di riferimento.
E perché tanti, anche ex-founder che potrebbero godersi la pensione, si stanno lanciando nelle early-stage?
Le early-stage stanno vivendo un bel momento perché non sono più le uniche a non avere certezze. Anche le big tech non hanno certezze.
Tutte le grandi aziende tech stanno licenziando, in una corsa a dimostrare il loro valore economico reale. Tutte quelle aziende che la maggior parte delle persone guarda quando pensa al migliore posto di lavoro del mondo, da Meta a Google, da Twitter a Spotify, in tutto il mondo (e anche in Italia, es. Everli) hanno licenziato decine di migliaia di persone per dimostrare che possono tagliare i costi e raggiungere i profitti che si aspettano i loro investitori. E questo rende il contesto delle big tech molto più simile a quello ad alto rischio che vivono i team di una startup early-stage perché: entrambe non hanno la più pallida di come e cosa fare.
Chi lavora in una startup early-stage non ha la più pallida idea di quello che sta facendo. Spesso non ci sono informazioni o ricerche di mercato che spingono a fare x o y. Si ragiona per ipotesi, per test e per esperimenti. Non c’è quasi nessuno che ha già lavorato su qualcosa di simile. Chi ha già lavorato in startup può sapere come duplicare un processo o riportare un approccio che precedentemente funzionava ma quello che è stato fatto 3 anni prima non è detto funzioni. La probabilità di sbagliare è altissima, ecco perché ragionare per ipotesi permette di spostare l’attenzione dal fallimento al learning.
Sembra strano ma anche per le big tech le certezze stanno diminuendo.
Prendiamo l’esempio delle app di linguaggio generativo come la famosissima ChatGPT. Si sta parlando moltissimo dell’integrazione con Microsoft e della minaccia potenziale per Google. Ma ci sono molte altre aziende che potrebbero essere minacciate da questa nuova modalità di ricerca e interazione, solo che non si stanno facendo le domande giuste.
Per esempio, mi domando se tra qualche anno useremo ancora Facebook o Instagram per vedere cosa fanno e cosa postano i nostri amici? Oppure useremo un chatbot integrato a Whatsapp che ci permetterà di interfacciarci con i nostri amici alimentando discussioni su certi argomenti, partendo da un contesto di intelligenza artificiale? Faremo ancora ricerche sulla migliore auto da acquistare oppure chiederemo a ChatGPT di fare una pre-selezione sulla base di quelle che secondo noi sono le funzionalità e i requisiti?
Difficile trovare risposte.
Ma è proprio per questo che le risposte si trovano se si testano nuove idee, lanciando nuovi progetti.
Il dato che non vogliamo perderci
Lo 0.8% e lo 0.9% è la percentuale delle startup in Francia e Germania fondate da solo donne, contro il rispettivo 19.5% e 23.9% di soli team di uomini.
Il grafico più interessante è tuttavia qui sotto che mostra la valutazione delle startup sulla base del genere dei founder. La differenza più grande è tra team di founder solo maschi vs team di sole donne. E lo sapevamo. Tuttavia sono sorpresa da un altro insight: quando gli imprenditori sono in solitaria (solopreneur) il gap non è così alto. Chissà che dinamiche si instaurano per i founding team di sole donne? Sarebbe interessante andare a vedere quali sono i settori in cui operano.
Sto cercando report che fanno analisi simili anche per il settore italiano, spero di trovarli così poi allarghiamo queste riflessioni.
Poi su questo tema ho giusto una sorpresa che esce la settimana prossima.
È il momento di dire addio 👉
👋 ✂️ a chi pensa che un team in disaccordo sia un problema
Quando si lavora in un team che testa ipotesi in una startup che non sa qual è la direzione precisa da prendere diventa molto difficile prendere delle decisioni e soprattutto fare in modo che quelle decisioni siano condivise. C’è sempre chi ha altre idee, diverse opinioni o iniziative. In un mondo pieno di bias, ognuna di queste persone pensa che le proprie idee siano migliori di quelle degli altri.
Ma è davvero importante che il team trovi un accordo?
I team dovrebbero essere sempre d’accordo? Io credo di no. Anzi, le idee migliori nella mia esperienza sono uscite quando il team non era d’accordo.
Bisognerebbe imparare a capire quando ha senso essere d’accordo.
Credo che in un team che funziona bene sia essenziale che ogni persona porti un proprio contributo, che sarà inevitabilmente diverso da quello di altri.
In un team che funziona bene l’accordo si trova assieme perché:
1. le idee si fondono le une con le altre, e si costruisce assieme per raggiungere l’obiettivo, che è la cosa che più è importante per tutto il team
2. non c’è competizione perché non serve dimostrare la bravura a chi è responsabile,
3. non c’è paura che le proprie competenze verranno calpestate perché c’è rispetto e fiducia nei colleghi.
Spesso è chi gestisce questi team che non è in grado di gestire il disaccordo, la diversità di idee e di opinioni e la creazione di piani condivisi che le includano tutte.
La responsabilità di un team che funziona bene oppure male non è del team ma di chi lo gestisce e permette che le discussioni sulle diverse opinioni diventino conflitti o opportunità di crescita per tutti.
Job in startup, libri e cosa ho ascoltato questa settimana
📎 Trainline cerca CRM Campaign Executive e Senior Brand Manager Italy+Spain a Milano
📎 Cortilia assume per una posizione di CRM Marketing Specialist a Milano
📎 Fiscozen cerca Head of Analytics e Finance a Milano
📎 Primo Ventures fondo italiano di venture capitale cerca una figura per Investor Relations and Communication Specialist - Primo Ventures a Milano
📎 Al.ta Cucina la media-tech company per gli appassionati di cucina cerca una persona come Creative Strategist a Milano
📎 Booster Box cerca Marketing Data Scientist in remoto
📎 Getir assume per un internship in Marketing a Milano
🧠 C’è un bel programma dedicato alle women founders-to-be che si chiama The Break completamente finanziato dall'UE. Sono 10 settimane ibride in Spagna che includono 50 ore di training e di mentoring
Grazie Ludovico per la segnalazione!
💥 🎤 Torno a parlare su un palco!
Questa volta è quello virtuale di Breadcrumps per raccontare come ho testato una strategia product-led growth in un progetto di marketing B2B. La conferenza si chiama Hot Takes Live, comprende 47 speech da 15 minuti l’uno, è in inglese, verte su diversi temi non solo product ma anche marketing e sales, sarà giovedì 16 febbraio dalle 16 alle 21 ora italiana (io sarò alle 16:55) e ci si iscrive gratuitamente qui
Ci sentiamo domenica prossima se non faccio altri errori!
Magari alla fine vi è anche piaciuto questo fuori programma :)
Alessia