Startup Stories #20
Founder di banche digitali in burnout, giochi di borsa americani + 3 analisi da non perdere sul 2021
“Mi sapresti dire quanto mi verrebbe a costare al giorno un buon product manager, magari ex-founder, con esperienza in startup early-stage in Italia?”
É una domanda che mi ha fatto qualche giorno fa un amico italiano a Londra, con almeno 2-3 startup nel curriculum e alcune idee di progetti corporate innovation per il mercato italiano.
Ho iniziato a pensare.
Sì conosco, ex-founder di startup in Italia, ma quanti di loro con esperienza come product manager? Forse uno, tra le decine dei miei contatti.
I founder italiani sono per lo più business-oriented (forse qualche ex developer), perché c’è l’idea che il founder debba assumere gli specialisti e non diventare owner di prodotto.
Sono pochi, quindi, quelli che sanno cosa significa fare business model validation o customer discovery focalizzandosi sul prodotto, perché la maggior parte dei founder italiani preferisce vendere, e redigere business plan per interfacciarsi con investitori, clienti e stampa.
(ps: se sei un startup founder in Italia e vuoi smentire le mie convinzioni, rispondi a questa survey?)
E ora piccolo spoiler: vi ricordate la domanda aperta che avevo lasciato alla fine di questo post sul 2020?
Ho pensato molto, mi sono sconnessa grazie a due settimane off sotto Natale e ho deciso: il 2021 sarà un anno dove uscirò dalla mia comfort zone di consulente.
Saprete tutti che da quasi 5 anni lavoro come consulente freelance su molteplici progetti, molte startup e qualche agenzia eu+ita, qualche università.
Ho conosciuto tante persone, imparato moltissimo e ho sviluppato competenze che non pensavo nemmeno di avere: ho gestito progetti di formazione e clienti, ho fatto la keynote speaker e la moderatrice di panel, ho scritto due libri, nonostante il mio prof d’italiano dicesse che scrivere non era per me.
Ho analizzato le mie priorità e ambizioni e ho capito che è arrivato il momento di mettermi alla prova un’altra volta, su qualcosa di nuovo, con un impatto ampio e con un team ambizioso e internazionale. Non spoilero nulla ancora, anticipo solo che sarà un ruolo full-time sulla crescita di un prodotto digitale disruptive. :)
Cos’è successo nel mondo tech e startup in questo mese?
1) La prossima IPO di una startup americana
Bumble l’app di incontri è pronta a quotarsi in borsa: i documenti sono pronti e si stima una valutazione tra i 4 e i 6 miliardi di dollari (per paragone Tinder vale 10mld)
Fondata nel 2014 da Whitney Wolfe Herd, che ha iniziato la sua carriera come co-founder in Tinder da cui è scappata per l’atteggiamento sessista e tossico dilagante, l’idea era di lanciare un social network per le donne, poi pivotata verso un’app di incontri (dating) dove le donne potessero fare la prima scelta. Ha generato 376M di dollari di ricavi tra il 29 gennaio e il 30 settembre dello scorso anno. Nello stesso periodo, le perdite nette si sono attestate sugli 84M di dollari.
Perché secondo me è una notizia potente? Quando succederà, Bumble sarà una delle 20 aziende guidate da una donna ad essersi quotata in Borsa, di cui 5 negli ultimi 5 anni.
Se guardiamo alle startup guidate da uomini sono migliaia ad aver ottenuto questo traguardo.
E parlo di traguardo perché questo è uno degli obiettivi più importanti di creare e crescere una startup: lo fai per raggiungere la famigerata exit tramite quotazione pubblica IPO oppure tramite acquisizione da parte di una corporate.
(per capire perché in Italia non si parla abbastanza di startup exit clicca qui)
Perché nel 2021 vediamo ancora queste disparità?
In bocca al lupo Whitney, questo è sicuramente un traguardo importante per Bumble e per tutte le aziende women-led che verranno dopo di te.
2) Il founder di Monzo lascia: perché dovrebbe interessarci?
Il Ceo di una delle banche digitali più importanti in UK ha lasciato il suo ruolo.
Potrebbe non essere una notizia particolarmente rilevante, nel mondo è pieno di persone che prendono nuovi incarichi e fanno certe scelte.
La notizia di Tom Blomfield, il founder di Monzo, che fa un passo indietro, è interessante perché in modo super trasparente e pubblico racconta le motivazioni di questa sua scelta, anticipando che la crescita vertiginosa lo aveva stressato particolarmente e avevano messo alla prova il suo stato di salute mentale. In soldoni era in burn out.
”Ho smesso di entusiasmarmi per il mio ruolo in azienda circa due anni fa. Quando siamo cresciuti, e da quella che era una bootstrapped startup che stava crescendo in modo iterativo, costruendo funzionalità che le persone davvero amavano, siamo passati a essere un’importante banca UK. Non sto dicendo che una sia meglio dell’altra, solo che quello che amo fare nella vita è lavorare con piccoli gruppi di persone appassionate che lanciano e fanno crescere concetti da zero per creare qualcosa amato da utenti e clienti. E credo sia una bellissima skill. E allo stesso modo partire da una banca che ha raggiunto 3-4-5 milioni di clienti e trasformarli in 10 o 20 milioni per poi andare verso la profittabilità e l’IPO, anche quelle sono sfide fantastiche, solo che sinceramente non credo mi interessino e non penso di essere particolarmente bravo a presidiarle”.
Cosa impariamo dal founder di Monzo?
l’onestà intellettuale di ammettere le difficoltà e il peso mentale di sostenere sfide che non gli interessano, ammettendolo pubblicamente (trovatemi un founder italiano che ammette queste difficoltà anche solo con il suo team)
lavorare e far crescere un’azienda da 0 a 3 milioni è completamente diverso rispetto a farla crescere da 3 a 20 milioni di clienti: servono competenze, visioni, passioni completamente diverse. Da 3 a 20 milioni di clienti una startup è una corporate, è strutturata, ha centinaia di dipendenti, è lenta, responsabile e deve avere un focus sul profitto. Se sei appassionato e adori costruire prodotti digitali potrebbe non essere più così stimolante, perché in quella situazione non serve più costruire e testare qualcosa di nuovo. Capire dove e come ci piace lavorare e in quali situazioni diamo il nostro meglio è un importante step di crescita professionale, voi sapete in quali situazioni non riuscireste a dare il vostro meglio?
nella lunga intervista a TechCrunch elogia pubblicamente le skills del team executive di Monzo che ha fatto “un grande lavoro di scaling” e che è sicuro continuerà nel raggiungimento di obiettivi ambiziosi.
Quanti altri founder o imprenditori avrebbero messo il loro ego da parte, avrebbero fatto un passo indietro ammettendolo pubblicamente e avrebbero elogiato l’executive team in carica per spronarli a continuare senza di lui?
3) Come si crea un prodotto inutile? Con le “shit user stories“
Vi ricordate quando qualche mese fa vi ho parlato delle job stories (o job-to-be-done)?
In pratica si tratta di un framework che invece di focalizzarci sulla sola analisi delle personas quando progettiamo un nuovo prodotto o una nuova funzionalità, ci permette di allargare il focus andando a pensare alle motivazioni intrinseche che spingono una persona a utilizzare quel prodotto o quella funzionalità in quel contesto specifico.
Io lo trovo super utile perché si riescono davvero ad analizzare la specificità dei prodotti e delle motivazioni che spingono le persone a utilizzarli.
Ora, avete invece presente quelle funzionalità o quei prodotti che non usiamo e che quindi non capiamo perché esistano? Ecco, il mio amico Carlo mi ha fatto scoprire le Shit User stories: per farvi due risate su come le shit user stories possono spiegare l’inutilità di alcune funzionalità e prodotti.
Per dirla alla Don Norman: se non capite perché alcuni prodotti e funzionalità esistono non è tutta colpa vostra :D
4) Gamestop: un’analisi lato prodotto e startup
L’avete sentita la storia di GameStop?
In pratica, GameStop, un’azienda che vende videogiochi tramite negozi fisici, che negli ultimi anni stava soffrendo particolarmente data la poca digitalizzazione del proprio modello di business, su cui Wall Street scommetteva finisse male, ha registrato +400% del prezzo delle azioni in Borsa grazie a Reddit.
Una thread su Reddit, WallStreetBets, e alcuni dei suoi 2.7M di utenti hanno deciso di acquistare azioni tramite la piattaforma RobinHood (non li chiamerei sprovveduti) per ribellarsi agli “shorting speculativi” attivati dagli hedge fund di Wall Street. Finché Robin Hood tre giorni fa ha bloccato le operazioni di acquisto sul titolo di GameStop.
Ora al di là di chi ci ha guadagnato o chi ci ha perso, e lasciando stare la narrazione degli sprovveduti che battono i professionisti vorrei provare a fare un’altra analisi.
L’app Robin Hood ha avuto un ruolo molto importante: essendo lo strumento con cui gli utenti avevano potuto acquistare le azioni, è diventata anche quello che poi ha bloccato l’acquisto di ulteriori posizioni, facendo precipitare il. valore delle azioni.
La decisione di Robin Hood apparentemente tendenziosa per salvaguardare gli interessi dei fondi speculativi, è stata presa su richiesta della National Securities Clearing Corporation, ente che l’app deve rispettare: lo dice il founder durante una conversazione con Elon Musk.
Il problema è che questo blocco prende di mira quegli stessi utenti che hanno affermato la crescita della startup e apparentemente sembra opposta alla big why per cui è nato quel prodotto.
Così come Jack Dorsey che aveva fondato Twitter affinché tutto il mondo avesse una piattaforma per esprimere i propri pensieri e Mark Zuckerberg aveva fondato Facebook perché il mondo fosse collegato nonostante le distanze, trovandosi a dover bannare esponenti politici che utilizzavano quello stesso strumento per raggiungere scopi personali potenzialmente sovversivi, Vlad Tenev si è trovato a dover fare la stessa cosa con la sua RobinHood, ossia a bloccare l’utilizzo della piattaforma per impedire che quegli stessi utenti che la usavano per acquisare/vendere azioni infrangessero la legge.
Che sia un pattern che vedremo ancora, applicato ad altre situazioni?
5) Ecco le 3 analisi sul digital 2021 da non perdere per iniziare bene l’anno
Ogni anno chi fa digital marketing come la sottoscritta e ama il suo lavoro sa che c’è un report che aiuterà moltissimo le slide e le ricerche di quello stesso anno: l’analisi digitale di We Are Social in partnership con Hootsuite.
Incentrata sui social media e sull’analisi dell’evoluzione mondiale dei consumatori verso questi strumenti, ci da uno spaccato davvero importantissimo dei trend, dei canali social da presidiare e dell’utilizzo mondiale di Internet e delle app.
Almeno mi consolo sapendo di non essere l’unica che passa in media più di 6 ore al giorno online.
Altra analisi annuale molto interessante è quella di App Annie, specifica per il mondo delle app e del mobile.
Non mi ricordo chi qualche tempo fa aveva esordito dicendo che ormai le app erano vecchie e non sarebbero state più usate, mi sa che su questi dati ci sbagliamo poco.
Altro dato aggregato interessante: le app lanciate su IOS fanno fare più revenue alle aziende, perché gli utenti spendono di più su Apple Store. Succede perché è un target più high spending o forse più smart, che spende di più in quello che vuole davvero?
Altri dati molto interessanti su AppAnnie riguardano le diverse app preferite dai diversi segmenti di utenti per alcuni Paesi (purtroppo non c’è Italia)
Infine una guida pratica su come fare ASO Optimisation: state lanciando la vostra app e volete capire come piazzarla nei primi posti nello store? Eccola qui, tutta per voi.