Startup Stories #19
Parliamo di Slack, scarpe in abbonamento, il potere del feedback e le serie su Netflix che diventano potenti influencer.
Come ogni dicembre, finalmente, siamo a fine anno: sono davvero stremata ma allo stesso tempo felice di quello che sono riuscita a fare.
Sto già pensando al mio solito blog post di fine anno e a tutti i progetti e i pensieri che ho fatto in questo 2020 infinito - a proposito, vorresti leggere un focus particolare su come ho gestito qualcosa? Suggeriscimelo rispondendo a questa email.
Un anno fa ero a Londra, convinta di aver chiuso un capitolo, ma sicuramente non avrei mai pensato che non sarei riuscita a tornarci per tutto questo tempo.
E questo distacco mi fa una sensazione strana perché (in teoria) dal 2021 Londra sarà ufficialmente fuori dall’UE, e quel libro che volevo piano piano concludere, in realtà si sta chiudendo senza che io possa aggiungere molto a quello che ho già visto e detto.
Mi dispiace molto ma mi rincuora vedere che tanti amici stanno bene, compresi quei pochi rimasti in città, e che tutti stiamo affrontando nuove sfide con la stessa energia che ci contraddistingueva quando ci incontravamo agli eventi del venerdì sera.
Questo per dire che gli equilibri cambiano ma il network e le persone contano sempre, ovunque siano, ed è la più grande consapevolezza che mi porto in questo nuovo capitolo di vita e il più grande consiglio che do a tutti voi.
Cos’è successo nel mondo tech e startup in questo mese?
1) Slack potrebbe venire acquisita da Salesforce
Questa è una super bomba, i rumors sono quasi ufficiali e quindi possiamo aspettarci che il colosso dei programmi SaaS (Software As A Service) per le aziende stia per acquisire il mio tool preferito per la comunicazione intra team.
Hanno già acquisito Tableau l’anno scorso, altro mio love tool per la data visualization, e non mi sorprende questa mossa che aggiungerebbe ancora più valore all’azienda che ha fatto del CRM il suo vantaggio competitivo. Permetterebbe infatti il cross-selling di software che sono già nel portfolio di Salesforce e aiuterebbe il colosso a entrare nel mercato delle fast-growing startup, mercato in cui Slack oggi eccelle grazie alla sua missione di rendere più fluide comunicazioni e workflows.
D’altro canto per Slack, entrare in un contesto dalle spalle larghe come quello di Salesforce, potrebbe essere utile per ritrovare quelle certezze in termini di prodotto e quota di mercato che in questi mesi ha visto rosicate da Microsoft Teams. Microsoft infatti, ha raddoppiato gli utenti per la sua app di chat e call, 115M di utenti attivi in ottobre rispetto ai 75M di aprile e, nonostante i metodi di vendita possano risultare a volte discutibili (dato che il servizio di chat è stato inserito nell’offerta di Office 365), alcuni analisti e appassionati già quest’estate si chiedevano quali sarebbero state le probabilità di sopravvivenza di Slack.
L’acquisizione di Slack da parte di Salesforce cancella questi dubbi e riapre la partita, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
Ora sarà interessante capire quali saranno le mosse di Zoom e Google.
2) Nuovi modelli di business: la scarpa da running in abbonamento, Cucina Barilla e l’app per il metabolismo
Avete letto di Cyclon, la nuova scarpa da running sviluppata da ON, il brand svizzero che si sta muovendo velocemente per rivoluzionare il settore delle sneaker e delle performance sportive? L’idea non è esclusivamente legata allo sviluppo e al lancio di un prodotto fisico, ossia una scarpa che permette ottime performance, ma include al prodotto fisico uno digitale.
Si tratta infatti di un modello di business a subscription dove con €29.95 al mese l’utente compra l’utilizzo di una scarpa dalle ottime performance per circa 600km: una volta completato il percorso ne riceverà un nuovo paio e potrà restituire quelle usurate, senza dover buttarle.
Un modello di business fantastico per un target specifico, chi è appassionato per la corsa e/o corre a livello semi professionali e che si trova a cambiare scarpe ogni x mesi, con la sicurezza che si tratta di un acquisto che non nuoce al pianeta. La vedo dura per il pubblico mainstream, che compra un paio di sneakers ogni 5 anni come la sottoscritta e che non credo per il momento sia in target :) Ma sembra promettente. Che cosa ne pensate?
Se la notizia delle scarpe in abbonamento ci suona strana, saremo meno stupiti di scoprire che colossi nel food si stanno muovendo già da tempo verso modelli a subscription. Nestlé USA ha recentemente acquisito Freshly che lavora proprio in questo ambito, mentre altri lavoranno in modo diretto a nuove proposte, come Barilla che, in partnership con Vorwerk e il Bimby, lancia Cucina Barilla per acquistare dei kit che permettono di preparare nuove ricette, in pochi minuti.
Mi sembra che per il momento questa sperimentazione sia ancora work in progress, dato che il servizio è passato velocemente da un modello in abbonamento a una formula di e-commerce più tradizionale, ma per la mia esperienza nella gestione di programmi di corporate innovation* posso dirvi che staremo a vedere come evolverà.
Rimanendo nel food, infatti, il trend dei servizi in abbonamento continua con app e servizi che ci permettono di controllare la nostra dieta, aiutandoci a capire quante calorie e quali valori nutrizionali immettiamo nel nostro corpo. Così come il conta passi del nostro iPhone ci permette infatti di tracciare l’attività fisica, in modo a volte inconsapevole, stanno nascendo delle app come Levels che analizzano il nostro metabolismo, aiutandoci a capire come funziona il nostro apparato interno e a fare le scelte nutritive che supportano una buona salute.
Immaginatevi cosa succederà quando queste app potranno interfacciarsi con gli scaffali intelligenti del nostro frigo e quanto le corporate come Barilla potranno utilizzare quei dati per creare ricette ancora più personalizzate, e capirete qual è il livello di innovazione che vedremo nei prossimi anni nella cucina di casa.
Oggi ci sembra un po’ Black Mirror, ma sono sicura che se 20 anni fa ci avrebbero detto che non saremmo andati nemmeno in bagno senza un cellulare non ci avremmo creduto.
* nb: per corporate innovation programs intendo quei programmi di test e sperimentazione che le corporate avviano internamente, seguendo approcci e metodi di una startup, per testare nuovi modelli di business, sviluppare nuovi prodotti e validare nuove idee, evitando di invstire budget milionari in nuovi prodotti, rischiando reputazione e brand. Quest’anno ho seguito due programmi di questo tipo, ne scriverò nel mio post di fine anno :)
3) Il potere del feedback nei team e nelle aziende (soprattutto quando è positivo)
Ho parlato di feedback anche un anno fa e giuro che il timing non era voluto.
Ma in questi mesi ho letto un sacco di roba sulla leadership, company culture e feedback, cercando di capire perché per me il feedback è essenziale: ho sempre pensato sia grazie al feedback diretto e sincero che sono cresciuta e così come me anche le persone e i team si evolvono, dando quasi per scontato che per tutti sia così.
Ora, sarà perché in Italia non ho trovato molte persone in grado di darlo, con la trasparenza e l’accuratezza che servirebbe, sarà che tutti ne parlano ma pochi capiscono in realtà come applicare questi feedback loop nel concreto in azienda, che quando ho letto questo pezzo ho messo assieme tutti i puntini.
In sostanza dice che la cultura aziendale non può essere decisa dall’alto, è il risultato della combinazione di ingredienti personali (dati dal team) e dell’ambiente in cui queste persone operano. Non basta che qualcuno, dall’alto o durante un meeting, decida che è arrivato il momento di condividere il feedback sul lavoro degli altri.
Senza preparare il team si potrebbe ottenere l’effetto contrario: perché dire a qualcuno che quel lavoro non è così preciso come ci si aspettava se il ricevente vede quel feedback come una critica? La feedback culture non è qualcosa che la si impara guardando come lo fa qualcun altro, in team di 5 persone forse sì. Tuttavia non dovrebbe essere un obiettivo da conseguire ma una caratteristica dell’ambiente e dell’azienda che stiamo costruendo o in cui stiamo lavorando.
Quindi, è difficile. Ho imparato di non dare per scontato che il feedback ci sia. Allo stesso tempo credo sia un elemento troppo importante nella cultura di un team perché venga lasciato alla sensibilità e all’esperienza delle persone: iniziamo a far sì che avvenga, accendiamo la scintilla, creiamo i presupposti ed educhiamo il nostro team perché diventi parte della consuetudine.
E soprattutto non pensiamo che sia solo il feedback negativo che fa crescere le persone: il feedback positivo è quello che motiva di più, più in fretta, e colpisce in positivo anche i più scettici. Se succede persino con i robot perché non dovrebbe succedere con noi umani?
4) L’influencer marketing delle serie su Netflix
Avete visto la Regina degli Scacchi? Spero di si.
Io era dalle prime stagioni di Stranger Things che non rimanevo così coinvolta da una serie TV e visti i numeri, come me, altri 62 milioni di persone nel mondo, facendola diventare la mini serie più vista di sempre.
Ora, al di là dei gusti personali, quello che mi interessa sottolineare è da una parte, la velocità con cui una serie è diventata un cult, e dall’altra analizzare come ha influenzato il comportamento delle persone verso gli scacchi, nello stesso modo in cui lo fa un influencer. Ebay ha visto triplicare le ricerche di scacchiere online, l’app per giocare a scacchi Chess e il sito Chess.com hanno visto aumentare vertiginosamente i loro utenti (+50%) e le sottoscrizioni a pagamento con + 10k registrazioni solo in novembre.
I numeri sono simili a quello di un super influencer, solo che in questo caso l’influencer è immaginaria: è una serie su Netflix.
Che sia l’inizio di un nuovo revenue stream per Netflix, per realizzare mini-serie sponsorizzate dalle big corp per spingere le vendite dei loro prodotti?
Forse anche questa è una soluzione un po’ black mirroriana, ma se fossi la production di Netflix, ci penserei.
5) C’è ancora qualcuno che investe budget pubblicitario in TV?
Sono rimasti in pochi.
Vi lascio qualche grafica per le vostre slide che analizzano la crescita pazzesca del digitale degli ultimi 40 anni e la fine della pubblicità sui giornali, soprattutto in quelli che “urlando” titoli poco interessanti e informativi si comportano come la D’Urso per la TV. Alla fine non sono che tentativi disperati di cogliere l’attenzione di un pubblico più interessato alle serie su Netflix rispetto alle opinioni di chi continua a fare giornalismo preoccapandosi solo della forma, tentando di preservare il suo ormai piccolo potere, come se volesse aumentare il volume del pianoforte che sta suonando, in un transatlantico che affonda.