Non tutte le startup sono scalabili. Vero o falso?
Come al solito dipende dall'ecosistema in cui sei.
Questa settimana che finalmente il caldo ci ha dato un pausa, ne ho approfittato per fare due cose.
La prima
Ho fatto una prima di analisi di questo periodo, dove per la prima volta in 10 anni, invece di mettere il lavoro sopra tutto, il focus è su tutto il resto che mi riguarda. Se fossi in una startup la chiamerei “H1 retro”. Com’è andata? Cos’ho testato e imparato finora? Com’è la mia performance review di questo semestre? Quali insights ho raccolto per la roadmap di H2? Ovviamente queste risposte restano private e saranno parte del mio post di fine anno :)
Cosa ho imparato
Paul Graham nel suo ultimo essay intitolato “how to do great work” mi ha ispirato parecchio, poiché racconta cosa significa fare un buon lavoro rispetto al duro lavoro. Mi ha aiutato a capire che continuare a seguire i miei interessi, rischiando fallimenti e rifiuti, è parte del processo di apprendimento. Non l’avevo mai fatto in modo così libero. E spesso nemmeno una grande attività di planning ha senso, se non sai determinare gli obiettivi che vuoi raggiungere, se sei in learning mode. Per me che ho vissuto gli ultimi 10 anni sulla base degli obiettivi che volevo raggiungere mi sembra un bel cambiamento. Quindi la strategia migliore è: non pianificare troppo, seguire quello che ci interessa di più e che ci può dare le migliori opzioni in futuro. Continuerò a puntare la prua verso il vento, "staying upwind", nuovo mantra.
La seconda
Riflessioni nate dal supporto che ho dato ad alcune startup italiane facendo intro verso potenziali VC o supporter in USA in grado di aprire loro qualche porta.
Cosa ho imparato
Troppo spesso le startup italiane sono convinte che le modalità che le hanno fatte crescere in Italia siano le stesse che le faranno crescere all’estero. Senza considerare che i mercati, le culture, le consuetudini sono spesso molto diverse. Per non parlare dei budget.
Lo fanno anche le scale-up che vogliono entrare nel mercato italiano, guardando solo ai numeri e sottovalutandone complessità, bias e diversità geografiche e culturali. Tuttavia le scale-up estere spesso arrivano con budget che in Italia si sognano.
I founder italiani non hanno mai tanti soldi a disposizione, per cui spesso non possono investire in un team locale. Il grande errore tuttavia è portare avanti un approccio sales-driven basato su insight raccolti durante uno stage di 6 mesi, 10-15 anni prima a New York. O basarlo su feedback del VC italiano che si è convinti lavori anche in USA. Peccato che nel portfolio di quel VC non ci sia nessuna startup americana e sia semplicemente bravo a vendersi un anno passato negli USA.
È necessario e fondamentale pensare a quanto siano diversi i mercati fuori dall’Italia, prima di entrarci. Per entrare in un mercato non basta solo conoscerlo, ma capire quale strategia sia necessaria. Basta il prodotto così com’è o bisognerà adattarlo a utilizzi diversi? Serve un posizionamento diverso? Quali sono i competitor e come crearsi uno spazio per una value proposition che abbia senso?
Ecco, entrare in nuovi mercati senza porsi almeno queste domande significa fare un passo più lungo della gamba. Se inoltre non hai un network serve davvero tanta fortuna. Se non l’hai ancora fatto ti consiglio di leggere almeno questa guida base sul networking in Silicon Valley. In bocca al lupo!
Cosa significa essere scalabile
In Italia non siamo abituati al concetto di scalabilità e di crescita. Non abbiamo nemmeno bene le idee chiare su come e a chi chiedere soldi (ma se avete letto l’email della settimana scorsa ora sì). In genere associamo la scalabilità alla crescita, all’aumento del fatturato come le migliori PMI degli anni ‘80-2000. Ma c’è una vera differenza tra una startup che cresce e una con un prodotto scalabile? E quando un prodotto scalabile diventa interessante per un venture capital?
Aumento del fatturato vs prodotto scalabile
Anche questo l’abbiamo detto qualche settimana fa: il fatturato non è una metrica per una startup. Perché, per una startup che segue gli standard internazionali, quello che conta è quanto quel prodotto è scalabile e quindi qual è la traction aka il multiplo di crescita. Certo il fatturato potrebbe essere collegato a quel multiplo ma potrebbe essere anche importante considerare altre metriche che analizzano acquisition e retention, in modo da identificare la velocità di crescita e l’economicità (aka quanti soldi bruci). La crescita del fatturato è solo il risultato di una crescita che funziona. Ecco perché si considera il multiplo della crescita e non solo il fatturato quando si parla di crescita.
Una startup che in Italia fattura il 150% di anno in anno riceve centinaia di commenti positivi. All’estero è un meh perché se consideriamo un multiplo di crescita annuo da 1.5x è un piccolo business non una startup scalabile. Se sblocchi product-market fit e scali davvero, il tuo multiplo minimo dovrebbe essere almeno 3-5x ogni 6 mesi.
Quando una startup diventa interessante per un VC
In genere si guardano due macro questioni: mercato e problema
Quanto grande è il mercato?
Gli anglosassoni non si accontentano delle opinioni, vogliono i numeri e la ripetibilità. Cosa è necessario fare affinché il tuo business raggiunga $100M di recurring revenue in un anno? Quante persone devono usare il tuo prodotto e pagare per usarlo? E quale dovrebbe essere il tuo margine per utente? Queste sono alcune delle domande che i VC (bravi) fanno perché non investono sulla base della crescita statica (il fatturato) ma investono sulla base di una ripetibilità crescente che li convince che quello che fatturate domani sarà 15 volte quello che fatturate oggi.
Dalla newsletter di
una bella citazione di Andy Rachleff (co-founder di Benchmark Capital):“When a great team meets a lousy market, market wins.
When a lousy team meets a great market, market wins.
When a great team meets a great market, something special happens.”
Qui una bella guida di Sequoia per tanti altri dettagli.
2. Quanto grande è il problema che stai risolvendo?
In una scala da 1 a 10, quanto pesante è il problema? È 9-10, oppure 4-5? Se non c’è un problema molto problematico da risolvere sarà difficile far pagare un sacco di soldi per utilizzare quel prodotto. Questo per esempio è uno dei motivi per cui il pre-seed di questa settimana per JetHR è stato molto alto: il problema c’è, è davvero painful e se risolto bene potrebbe dare un sacco di valore (e quindi valere un sacco di soldi). Stessa cosa per il lancio di Taxfix in Italia: il problema c’è, è molto sentito per cui le persone avrebbero pagato tanto se glielo avessimo risolto davvero bene. Se lo avete provato, capirete perché a febbraio il mio rapporto di lavoro si è incrinato.
Ora, la domanda è: come si misura? Come in tutte le questioni sulle startup non c’è una regola aurea. Alcuni investitori considerano solo il total addressable market (TAM) come indicazione della scalabilità di mercato e problema. Tuttavia TAM enormi secondo altri non sono buoni indicatori per una startup, perché potrebbero servire enormi investimenti per coprirlo tutto o favorire una strategia troppo incrementale. TAM troppo piccoli d’altro canto possono minare la percezione sulla scalabilità tuttavia mercati più piccoli possono essere esauriti presto con una spinta verso quelli contigui. Quindi, tutto dipende dalla discussione che instaurerete in fase early-stage.
Per capire bene la scalabilità confrontando diversi mercati in Taxfix, ho usato anche questo framework, ben presente nel mondo VC anglosassone:
Larghezza: il problema è grande abbastanza in termini di clienti, utenti, sensibilità al portafoglio, etc.?
Urgente: quanto è urgente da risolvere quel problema? Le persone sono interessate a una nuova offerta, cambierebbero il modo in cui affrontano e risolvono il problema oggi?
Valore: le persone sono disposte a spendere dei soldi per risolvere quel problema, quanto è grande il valore finanziario di quel problema?
Quali sono le competenze del team, com’è la leadership? Fit con la investment thesis?
Una volta che sono stati analizzati i primi due punti, che servono a capire la probabilità di ottenere una exit pari a 10x, i VC spostano l’attenzione su altri temi. Per esempio, cercano di capire se il team sarà in grado di costruire un prodotto in grado di risolvere il problema per quel mercato. Inoltre verranno fatte una serie di altre analisi per capire se quella startup e quel team sono in linea con i founder del resto del portfolio, se il cap table non ha problemi e se quell’investimento è in linea con la tesi d’investimento (investment thesis) che sta portando avanti il fondo. Ma questi sono tutti elementi che non servono a capire la scalabilità di una startup.
Hai capito un po’ di più come fanno i VC a capire in quale startup mettere i loro soldi? Se si condividi questa analisi con chi ne ha bisogno.
La story della settimana (da un VC 🇮🇹 in 🇺🇸 )
Ho conosciuto Daniele Viappiani venture capital a San Francisco e gli ho fatto alcune domande per capire come fa a scegliere su che startup investire. Come dicevo prima, non ci sono regole standard, credo continuerò questo esercizio perché è super interessante per chiunque voglia capirne di più su startup e VC.
Quali sono gli elementi fondamentali che guardi in un deck di una startup early-stage?
Il team è la parte fondamentale. Guardo alcuni elementi fondamentali come:
l’esperienza come founder. Essere founder è una competenza che si acquisisce nel tempo, chi ha già esperienza ha maggiori probabilità di successo.
L’ambizione e l’impegno (commitment). L'ambizione necessaria per creare un'azienda valutata miliardi di dollari e l'impegno necessario per non arrendersi al primo ostacolo (le sfide non mancano mai per le startup). Il finanziamento dei venture capital si basa sulla possibilità che ogni investimento possa generare un rendimento di 10-100 volte per coprire gli investimenti non redditizi. La mancanza di questi due elementi aumenta notevolmente le probabilità di insuccesso.
Altri tratti che cerco sono: apertura mentale, proattività, umiltà e capacità di adattamento. Ho notato che i migliori fondatori sono sempre in continuo apprendimento, sono flessibili nel ricevere feedback, sono pronti a cambiare direzione se necessario, sanno accettare il rifiuto e si mettono in gioco per svolgere il lavoro necessario, che sia fundraising, vendite, operazioni, o prodotto.
La conoscenza specifica del team riguardo al settore/prodotto scelto. Spesso si parla di "founder-market fit". Ciò che per me è importante, più dei loghi sul cv, è che conoscano bene il mercato, i concorrenti e gli altri tentativi fatti nello stesso settore, che parlino costantemente con gli utenti/clienti per avere una perfetta empatia riguardo ai loro bisogni e a come risolverli.
La traction degli utenti. Avere traction (in termini di user, fatturato, etc) vuol dire dimostrare che il prodotto funziona e che c’è un mercato disposto a pagare per averlo.
Quali sono i 3 errori fondamentali che fanno le startup?
Non mettersi in gioco. Chiedere a un'azienda o a un'agenzia di svolgere una parte importante del lavoro per la startup, come formattare la presentazione, calcolare le dimensioni del mercato o analizzare la concorrenza, parlare con gli utenti o raccogliere finanziamenti, significa non avere le competenze necessarie per condurre un'azienda.
Inseguire finanziamenti da venture capital senza comprendere le dinamiche ad essi associate. Il termine "venture capital" suona allettante per molti, ma nella realtà non è sempre la forma di finanziamento più opportuna per la maggior parte delle aziende. Un'azienda che non ha il potenziale di crescere e diventare un'azienda da $1M non è un buon investimento per un venture capital, ma potrebbe comunque essere un'ottima azienda di dimensioni rilevanti. A questi fondatori consiglierei di crescere con altre forme di finanziamento o cercare di evitare finanziamenti esterni. Esiste una differenza tra il desiderio di creare un'azienda da un miliardo e un piano realistico per farlo.
Non parlare con gli utenti. Alla fine sono i tuoi utenti che decideranno se vale la pena pagare per il tuo prodotto. Parlare con gli utenti spesso è il modo migliore per trovare un problema, per costruire il prodotto migliore per risolverlo sperimentando soluzioni diverse.
Come ti rivolgeresti a un VC se fossi un founder?
In maniera informale, per chiedere consigli/feedback su un'idea e per conoscere il loro approccio. Potrei iniziare con i VC con cui ho qualche affinità di storia o di percorso. I venture capitalist non sono né divinità da adulare né distributori di denaro, sono persone come le altre. Il modo migliore per ottenere finanziamenti è cercarli dopo aver già formato un team eccellente con un buon prodotto e costruire relazioni in modo intenzionale e organico.
La differenza fondamentale tra startup e founder italiani vs USA?
Credo che la vera differenza sia tra la Silicon Valley e il resto del mondo.
Le startup della Silicon Valley spesso sono migliori, ma ciò è dovuto anche al fatto che qui è molto più facile creare un'azienda: c'è un percorso più o meno definito, un modo predominante di affrontare i problemi (design thinking / lean method), una grande disponibilità di talento, fornitori di servizi specifici per le startup (ad esempio studi legali specializzati), un gran numero di finanziatori e, si parla sempre di tecnologia.
A Stanford chiunque non abbia intenzione di creare una startup mette in dubbio se stesso perché fino al 20% degli studenti ogni anno avvia una startup e quasi tutto il restante 80% lavora comunque in startup, venture capital, o grandi aziende tech. In Italia, come in molte parti del mondo, coloro che si occupano di startup e tecnologia sono una minoranza, sebbene in forte crescita, e lottano costantemente con il dubbio di stancarsi e perdere tempo.
3 consigli che daresti a un founder italiano che vuole entrare nel mercato USA
Chiediti davvero se vuoi entrare nel mercato statunitense e perché.
Il modo migliore per entrare nel mercato statunitense è trasferirsi negli Stati Uniti.
Comprendi bene il mercato statunitense e chiediti che cosa offre la tua startup di migliore rispetto alla concorrenza negli Stati Uniti.
🃏Asso piglia tutto
Per la rubrica sulle informazioni da non perdersi questa settimana condivido un bel report di Sequoia* che analizza il tech europeo dal punto di vista dei talenti. Fondamentale per un ecosistema. Certo, a Milano si vive bene e siamo abbastanza ottimisti di quanto stia migliorando l’Italia in generale come ecosistema e di quanto ci siano tanti tecnici e ingegneri bravi. Ma forse, non è che siamo biased?
Ci sono circa 3 milioni di software engineers in Europa in 14 aree di competenze. Questa analisi fa vedere la distribuzione europea dei talenti per ogni specializzazione per volume per i 50 più grandi hub ingegneristici. Ecco quali sono le prime 15 città:
Miglioriamo del 7% se parliamo di talenti nel mobile, grazie forse a Bending Spoons?
Quello su cui vorrei far riflettere è che è impensabile voler far crescere l’ecosistema italiano senza migliorarne l’attrattività per chi arriva dall’estero. Ci sono ancora troppe startup italiane dove si parla in italiano in ufficio. Dove è richiesta la presenza in ufficio. Dove gli stipendi sono ancora troppo bassi per il tipo di rischio e di lavoro. Pensiamoci, prima di tessere le lodi dell’ecosistema italiano all’estero.
*Si basa su un sondaggio di 125 recruiter e hiring managers in startup europee in diversi stage e su un sondaggio a 809 ingegner* tech e 226 laureat* in entrata nel mondo del lavoro. E altre interviste qualitative con founders e database
✍️ Tutte le startup che assumono in Italia questa settimana
📎 Everly cerca Product Manager in remoto
📎 Al.ta Cucina assume Growth Strategist a Milano
📎 Tesla cerca Content & Communications Manager, South Europe a Peschiera Borromeo, MI
📎 iGenius assume Customer Success Manager a Milano
📎 Spotify cerca Client Partner - Fashion & Luxury a Milano
📎 Moonpay assume SEO Content Manager & Writer in remoto
📎 Satispay cerca CRM Manager B2C a Milano
📎 Klarna assume Senior Business Analyst a Milano
Ci sentiamo la settimana prossima e se non l’avete ancora visto vi consiglio di seguire questo bel collettivo per dare risposte concrete al #Metoo della pubblicità italiana.
Grazie: ne abbiamo davvero bisogno!
Alessia
Bello il #Metoo italiano, grazie Alessia!
Peccato non avere Instagram, spero che comunichino anche su altri media