Ma prima un piccolo editoriale.
Forse non era solo sindrome dell’impostore
Sono sempre più convinta che se non fosse finita l’esperienza in Taxfix sarei andata in burnout. Sto leggendo molto per capirmi e analizzare quello che è successo negli ultimi mesi. E non è facile perché sul burnout non è che ci siano delle regole scritte per cui se hai tutte quelle caratteristiche allora si, eri in burnout.
Non pensavo fosse burnout.
C’ero già quasi passata una volta.
Era il 2016 e si stava concludendo anche in quel caso un’esperienza fantastica con una startup nella quale avevo lavorato moltissimo, avevamo fatto davvero i numeri e sul più bello che potevamo fare un nuovo fundraising dimostrando la vera traction e chiedere qualche milione come series A, i founder avevano deciso di vendere a una multinazionale. Un team pazzesco che aveva davvero lavorato benissimo fino a quel momento con probabilità che rimanessimo così coesi anche dopo pari a zero, poiché le assicurazioni sono uno dei peggiori settori per l’innovazione: la probabilità che il prodotto fosse effettivamente integrato a quello dell’acquirente erano davvero basse.
Ne avevamo discusso parecchio, con tutti i miei colleghi, a Londra.
Ma i founder mi avevano promesso di si e volevano convincermi ad andare a Cardiff per proseguire il lavoro. Secondo loro era più difficile raccogliere fondi per scalare in Europa e non volevano metterci la faccia. Probabilmente qualche anno dopo si sarebbe mangiati le mani.
Mi ricordo lo stress e i pensieri che continuavano a girarmi nella mente: fidarmi del mio istinto o di chi mi prometteva il contrario di quello che mi aspettavo?
Una cosa mi era chiara: quel quasi burnout non nasceva dal lavoro di 12 ore al giorno ma dalla poca chiarezza: ho saputo solo all’ultimo di questa decisione, quando con il team stavamo pensando al fundraise e alla strategia per gli investitori per il series A. Le mie aspettative erano state velocemente deluse e non mi sentivo ascoltata, c’era un disallineamento tra i miei valori e quelli dei founder e un cambio continuo di programmi e di opinioni. Ho scoperto che è la mancanza di chiarezza quella che aiutava il mio stress e che mi avrebbe portato al burnout.
Ho letto molto in questi mesi di sindrome dell’impostore, perché un paio di cari amici me l’avevano fatto notare. “Sei brava, ma ho notato che ultimamente hai poca fiducia in te stessa” - “Sei spesso negativa”. Pensavo fosse l’incertezza, la mancanza di chiarezza e gli obiettivi troppo ambiziosi a minare la mia fiducia.
Invece ci ho pensato in queste settimane. E ho capito che era il contesto che mi stava portando al burnout. Spesso durante i meeting con c-level non venivo ascoltata, la mia professionalità veniva contestata, le mie competenze venivano messe in dubbio nonostante per tutto il team fosse palese e riconosciuta la mia expertise.
Ero in uno stato di forte stress e ansia, era quindi burnout? Mi considero una persona forte e cosciente di quelle che sono le mie competenze ma ancora, la poca chiarezza e la mancanza di collaborazione mi fanno male. C’è un bell’articolo su HBR che racconta come la sindrome dell’impostore sia più impattante nelle donne. Trovarsi in un posto pieno di bias e di micro aggressioni, date da aspettative irrealizzabili e poco chiare che ci mettono a doverne gestire le conseguenze in solitaria, ecco quello è già parziale esaurimento. E quanto di tutto ciò avviene perché la maggioranza degli uomini dei team pensano di essere più smart e valorizzano il lavoro eccessivo e l’individualismo rispetto alla collaborazione e alla trasparenza?
L’analisi tech della settimana
Sono molto sorpresa.
In Italia tutti parlano di chatGPT, Bard, chi vincerà tra Google e Microsoft, qual è la sfida, come avverrà l’integrazione nei motori di ricerca. Si organizzano corsi per aiutare le aziende a capire come integrarlo nel proprio business, si scrivono articoli per anticipare modelli di business nuovi, ma chatGPT è buono o cattivo? Quali sono i rischi?
All’estero sento molto più forte chi fa invece di chi parla. Si parla infatti di startup Generative AI, che essenzialmente è la categoria a cui appartiene anche chatGPT, ossia un ramo dell’intelligenza artificiale che permette di creare cose nuove senza passare per gli umani. Uno di questi è appunto il contenuto, così come fa chatGPT, ma ci sono anche le intelligenze artificiali che ricostruiscono immagini, restaurano video, simulano visualizzazioni di protesi in ambito medicale, supportano attività diagnostica per individuare diagnosi maligne precoci. Mi stupisce che viviamo in un Paese a forte vocazione di design e architettura e ancora nessuno parla di Generative Design. Sulla base di un processo di apprendimento in grado di formare il sistema su tutte le caratteristiche e i vincoli da rispettare (materiali, normative, dimensioni ecc.), l’AI parte da una forma data per proporre una serie di ipotesi ricostruttive, tecnica molto utilizzata, ad esempio, nelle industrie automotive e aerospace per alleggerire i telai e i componenti di auto, moto e aerei.
In Italia il mercato dell’Intelligenza artificiale ha raggiunto nel 2022 un volume di circa 422 milioni di euro ed è previsto che raggiunga i 700 milioni nel 2025, con un tasso di crescita medio annuo del 22%, anche se l’AI rimane ancora scarsamente utilizzata dalle imprese italiane, in particolare quelle di minori dimensioni. Secondo l’Istat nel 2021 solo il 6,2% delle imprese utilizzava sistemi di Intelligenza artificiale, contro una media dell’8% nell’Unione europea. La percentuale di piccole imprese si attesta al 5,3%, contro il 24,3% delle grandi imprese.
Ho cercato alcune tra le startup più interessanti che stanno lavorando in Generative AI nel mondo. Magari a qualche PMI potrebbe fare gola testarla?
Toko, un’app per imparare le lingue attraverso l’AI, la quale viene in supporto a correggere errori e con la quale si possono instaurare vere e proprie conversazioni, senza dover pagare un tutor.
Rephrase.ai, startup indiana che permette di creare video di alta qualità usando il deep learning per creare video di versioni digitali di umani reali da usare nei video.
Hello Cognition, un motore di ricerca AI driven per sviluppatori che permette di estrarre informazioni ed esempi codice da fonti tecniche per dare soluzioni immediatamente applicabili.
Ordaos Bio crea nuove mini-proteine grazie all’AI per aiutare aziende farmaceutiche e biotech ad utilizzarle in innovativi programmi di cura e terapie
Elai.io crea nuovi video partendo da semplici testi
Keywee usa il Natural Processing Language per scannarizzare il contenuto online di un‘azienda, trova le audience giuste a cui farlo vedere sui social media e automaticamente crea numerose variazioni di post per le campagne.
Lavender integra l’AI per aiutarti a scrivere email migliori con intro personalizzate, insight e dati. Pensate a quanto potrebbero essere più veloci ed efficaci i sales team!
Copy.ai per scrivere copy grazie all’AI che spinge alle vendite e alla performance.
Mem per organizzare note, appunti e tutto quello che scriviamo grazie all’AI.
Seo.ai per creare contenuti SEO in 50 lingue diverse con l’AI.
Quale ti incuriosisce di più? Hai testato qualcosa di super che funziona alla grande?
Mandami i tuoi consigli. Se avessi giornate da 50 ore li testerei tutti!
Una bella startup climate tech
Qualche settimana fa ho conosciuto Namrata Sandhu, Co-founder & CEO di Vaayu. Vaayu è una startup che opera in climate tech con l’obiettivo ambizioso di essere il primo software al mondo in grado di aiutare i negozi e in generale il mondo retail a misurare, monitorare e ridurre il loro impatto in termini di carbon footprint.
Basata a Berlino, hanno raccolto $11.5M di seed round l’anno scorso da Atomico, uno dei VC che più sta investendo in sostenibilità e con un occhio attento alla diversity.
Era di passaggio a Milano e ci siamo trovate a bere un caffè. Mi ha raccontato che ora sono 50 persone, quasi tutte con background dati o ingegneristico perché il focus principale finora è stato nella costruzione della piattaforma. L’idea è infatti di calcolare il carbon footprint di tutte le operazioni giornaliere dei retailer attraverso la creazione di più di 600,000 punti dati ed il prodotto deve essere la parte da cui partire.
Abbiamo parlato di visione e di idea, di quello che si aspetta succeda nei prossimi anni e in quali settori. E poi le ho chiesto da dove è partita con quest’idea, dato che prima di essere co-founder lavorava come head of Sustainability da Zalando.
“Ero molto arrabbiata, perché negli anni in cui ero da Zalando nessun retailer si preoccupava di questo problema. Non c’erano dati, e mi sembrava davvero impossibile e assurdo che nessuno stesse facendo nulla. Credo mi abbia mosso la rabbia, tutte le persone intorno a me mi hanno detto che se era davvero un tema così forte per me, forse avrei dovuto fare qualcosa per risolverlo in prima persona.”
Perché i sogni a volte sono solo parte della motivazione che ci spinge a cambiare le cose.
È il momento di dire addio 👉
Goodbye alla funzionalità live-shopping di Instagram. Dal 16 marzo gli utenti non potranno più taggare brand e prodotti durante le loro live ed è stata già rimossa l’icona Shopping nella barra in basso. La funzionalità era stata lanciata nel 2020 sull’onda dell’entusiasmo verso lo shopping online durante la pandemia, con la speranza che gli USA avrebbero seguito questo trend asiatico. Trend che tuttavia non sta contando più del 5% delle vendite degli e-commerce negli USA.
Ci sono multi dubbi anche sulla traction di Tik Tok Shop in UK, primo mercato fuori dall’Asia, che doveva espandere questa funzionalità anche in Germania, Francia, Italia e Spagna ma la cui adozione troppo lenta da parte degli Europei ha fatto rivedere i piani. Chissà se Tik Tok ce la farà e come stanno funzionando i live shopping su YouTube e Amazon.
Job in startup, libri e iniziative che vi consiglio
📎 Techbusters startup edtech cerca una persona come CMO a Milano
📎 Cortilia assume una persona come e-commerce manager a Milano
📎 Viceversa startup in seed round che ha raccolto €3.5M cerca Head of Growth a Milano
📎 Kampaay startup in seed round che ha raccolto €3M cerca front-end developer
📎 Glovo cerca General Manager per l’Italia a Milano
📎 Unobravo assume Head of Marketing in remoto
📎 Satispay cerca Senior Business Developer e Social Media Specialist a Milano
📎 Scalapay assume una persona per Global Senior Product Manager a Milano
📎 ScuolaZoo cerca Content & Strategy Lead a Milano
📎 FornoBrisa cerca account manager per gestire nuovi progetti a Bologna
📎 WeWork cerca una figura di Community Associate a Milano
📎 Qonto cerca una persona per Senior Product Manager a Milano
🔔 Se siete founder di startup in Italia in qualsiasi stage (da seed a Series C) e volete avere consigli e feedback da un gruppo di VC italiani potete applicare a Office Hours, un’iniziative gratuita che offre mentoring e masterclass. Applicate qui entro il 28 febbraio
👁🗨 Se invece siete una startup con almeno una donna nel team di founder potete mandare application entro il 5 marzo per partecipare a Sie Ventures Raise Summit a Londra, un giorno di conferenze, 1:1 e sessioni con investitrici, il 23 marzo a Londra.
🎧 Questa settimana ho scoperto e ascoltato un podcast magnifico *in inglese, sorry. Si intitola “Can you really trust your gut” e racconta perché il ragionamento intuitivo, l’intuizione che spesso arriva come una sensazione dal nostro corpo non ha minore importanza del ragionamento razionale, anzi, è il nostro secondo cervello. È la nostra forma più arcaica, quella che ci ha fatto sopravvivere finora ed è basata sulla nostra intelligenza neurale, spesso interconnessa con la nostra creatività. Ah e a proposito di carriere lineari, il podcast è di Dan Harris, ex giornalista di ABC che dopo 20 anni ha fondato di un’azienda di meditazione che intervista un’ex attrice di Hollywood Amber Tamblyn che ha cambiato carriera ed è diventata scrittrice di 7 libri.
Per te che mi hai chiesto un consiglio su dove partire con il Performance Marketing. Lo scrivo qui così magari è utile per qualcun altro e se avete altri consigli passatemeli che li condivido!
Io se fossi in te partirei dai corsi online di Google che sono gratuiti e ti permettono di capire come funziona uno dei canali principali per il performance marketing. Meta per il momento lo lascerei un attimo di secondaria importanza perché non è che stia funzionando benissimo, soprattutto su budget piccoli e quindi stiamo a vedere come si comporta. Google è sicuramente un ottimo canale su cui focalizzarsi e soprattutto ti consiglio di iniziare a studiare le metriche di conversione. Perché poi possiamo capire quale canale funziona meglio ma il performance marketing si basa soprattutto sulle metriche di conversione awareness > engagement > conversione.
Ci sentiamo domenica prossima, sperando non si sciolga tutta la neve proprio ora che sto organizzando una ciaspolata.
Alessia
Che numero ⚡️
Uno dei migliori e più interessanti numeri di Startup Stories. Grazie mille!